È il 24 maggio 2020 e sui social impazza la prima pagina del New York Times. È una pagina di necrologi dedicata a 1000 vittime di Covid-19, il virus letale di questa pandemia. Sono più di 100.000 gli americani vittime del virus e nonostante il poco allarmismo di Donald Trump, l’America ha paura.

 

New York deserta

 

 

La pagina storica del New York Times 

Sicuramente la prima pagina del giornale, passerà alla storia: sono elencati 1000 nomi di vittime, è una pagina triste, una pagina che mette il lettore faccia a faccia con una realtà surreale. Non ci aspettavamo tutto questo, all’improvviso, mentre conducevamo le nostre vite normalmente, come se nulla fosse, come se tutto fosse infinitamente scontato e tutto ci fosse dovuto. Forse risiede in questo la fragilità dell’essere umano: nel credere di avere tutto e di dover possedere tutto quando in realtà non possiede niente e nulla gli spetta. Ecco che  allora dinnanzi a qualcosa più grande di noi, restiamo inermi e privi di certezze. Ma impareremo mai da tutto questo? Saremo persone migliori? Stiamo capendo che davanti alla morte siamo tutti uguali? Che quei nomi potrebbero essere i nostri? Riflettiamo. O meglio, proviamoci.

 

 

 

Je suis New York Times

È questo che vorrei fosse chiaro ed esplicito: siamo tutti quella pagina, quel giornale, quei nomi e quella situazione.

A livello mondiale siamo coinvolti in qualcosa che non avrà fine tra qualche mese ma che forse ci porterà ad essere poco liberi e ancora schiavi di un virus prepotente fino all’autunno. In giro c’è poca chiarezza di informazione, la stessa che ci ha portato a sottovalutare la vicenda agli inizi. C’è poca comunicazione realistica e veritiera su ciò che bisogna sapere, sui comportamenti da avere e sulle cose da fare.

Chi siamo noi? Popoli alla deriva, vittime di una dittatura silenziosa. Non abbiamo la vera democrazia che ci spetta, che desideriamo praticare e osservare e che credono di darci e servirci. No. Siamo in uno stato di obbedienza silenziosa, tutto è in sordina e noi o ce ne accorgiamo o facciamo finta di ninete.

Il presidente degli Usa, Donald Trump, a costo di non far fermare l’America e di far ripartire l’economia, è diposto a sacrificare la vita degli americani. Gli stessi americani che se lo ritrovano come presidente e che non avrebbero voluto un uomo così a governarli. Gli stessi americani che oggi vorrebbero ancora Obama, un presidente vicino al popolo che soffre ed è in difficoltà. Perché non ci si rende conto della gravità della situazione in America come anche in Italia e nel resto del pianeta?

Perché siamo tutti così immobili e privi di buon senso? Se il Times avesse potuto, avrebbe dedicato l’intero giornale alle vittime. Se potesse, dedicherebbe ogni uscita alle vittime da Coronavirus e ricorderebbe tutti i morti: uomini, donne, bambini, giovani. Perché non riusciamo a vedere questa pagina come un allarme? Perché i social la pubblicano e gli utenti la vedono come l’ennesima baggianata acchiappa likes? Perché tutto questo odio? Lo stesso odio che ci porta a non cambiare neanche dinnanzi alla guerra silenziosa che viviamo? Perché ogni volta che succede qualcosa su cui riflettere, ci agitiamo e puntiamo il dito?

 

New York Times, 24/05/2020

Perché?

Donald Trump leggerà il giornale? Sarà in grado di ripulire la sua coscienza? Quanti americani moriranno ancora? E quanto l’America avrebbe perso a livello economico se avesse rallentato?

La potenza economica mondiale, quella che non muore mai, che sforna sempre servizi e soldi, tutta business e guadagno…avrebbe davvero perso tanto se si fosse fermata in un momento così profondamente importante e pericoloso?

Credo di no ma il Presidente non la pensa così.

E allora è a questo che mi riferisco parlando di dittatura silenziosa. Di guerra silenziosa.  Di massacro dei giornali. Di notizie impoverite dall’egoismo dell’uomo.

Almeno, questa pagina storica, darà un po’ di voce ad una tristezza e ad un dolore tenuti troppo dentro e che hanno bisogno di urlare.

 

 

Written by

Teresa

Teresa, 25 anni, napoletana, una laurea triennale in beni culturali, attualmente studentessa magistrale di sociologia con indirizzo in Comunicazione. Amo le parole, mi piace leggere e scrivere da sempre. Editoria, fotogiornalismo, poesia, arte contemporanea, musica sono altre delle mie passioni e non è tutto. Credo che un articolo come un libro o una canzone possano davvero cambiare le cose. Vivo anche di film e serie tv e amo le cose semplici quanto quelle difficili.