Te la sei cercata è il secondo romanzo della scrittrice irlandese Louise O’Neill. Il libro, come il precedente Solo per sempre tua, affronta coraggiose tematiche legate alla condizione femminile: l’oggettificazione del corpo femminile, la pressione che le donne subiscono dalla società per il proprio aspetto e la cultura dello stupro, tema centrale soprattutto in Te la sei cercata. Il libro, edito in Italia da Editrice Il Castoro, è vincitore dell’Irish Book Award, del New York Public Library Best Book e dell’Honor Book al Michael L. Printz.

TitoloTe la sei cercata
Anno
:  2018
Casa editrice
: Editrice Il Castoro
Genere
: Young Adult
Traduttore
: Anna Carbone
Lunghezza:
 272 pagine
Punto di vista
: Narrazione a focalizzazione interna
Valutazione
: ★ ★ ★ ★

Prima di continuare a leggere TW: // menzione esplicita di violenza sessuale

L’articolo contiene spoiler sul libro

Trama

A Ballinatoom, una cittadina della provincia irlandese, vive Emma. Per tutta la vita le è stato detto che è speciale: è bellissima, popolare, perfetta. Tutte le ragazze vogliono esserle amiche e tutti i ragazzi vogliono uscire con lei. Ma poi, una sera ad una festa, tutto cambia. Emma non ricorda nulla, ma ci sono le foto su una pagina Facebook a testimoniare quello che ha subito: è stata violentata mentre era incosciente e le foto di quel momento orrendo sono state pubblicate su un social, alla mercé di chiunque. Emma era speciale, ma ora tutti dicono che è una sgualdrina, una stronza che cerca di rovinare la vita di quei poveri bravi ragazzi dopo esserci andata a letto insieme. Tutti l’accusano e lei inizia a pensare che forse è davvero colpa sua, perché non ha reagito, non ha detto di no. Che forse, se la sia cercata, in effetti.

Clicco sulla foto. Membra pallide. capelli lunghi, testa rovesciata all’indietro sul cuscino. Le foto cominciano dalla testa, scendono lungo il corpo, indugiano sulla carne nuda stesa sulle lenzuola a fiori. Non sono io. Dylan sopra quella ragazza (io, io, non posso essere io, non sono io) le mani sulla (mia…no, sua) faccia, come a nasconderla. Non c’è faccia. Solo un corpo, una bambola a grandezza naturale con cui giocare. Lei è una cosa. Un oggetto. (Io, io, io, io, io).

Emma, quando la vittima non è perfetta

Louis O’Neill fa una cosa scomoda ma necessaria: non ci rende il personaggio di Emma simpatico, mai. Nei primi capitoli ci viene data l’immagine di una ragazza bellissima e consapevole di esserlo, che sfrutta questa fortuna a suo vantaggio. Pretende di essere quasi adorata per il suo avvenente aspetto fisico, rende noto a tutti che può avere qualsiasi cosa e chiunque lei voglia, persino il fidanzato delle sue amiche. Emma è un personaggio narcisista ed egoista, dunque. Eppure, nonostante Emma non ci sia simpatica, la sua vicenda è dolorosa e ci lega a lei, ci rende partecipi di quel dolore solitario e persistente.

Sarebbe stato molto più semplice se Louise O’Neill avesse scelto come protagonista la “vittima perfetta”, una brava ragazza educata e di buoni principi, che ha subito una terribile violenza ma si è rialzata pronta a combattere per avere giustizia.

Invece sceglie Emma che è, se possibile, il totale opposto e soprattutto la inserisce in un contesto volutamente ambiguo, per il quale solitamente l’opinione pubblica si divide, anche all’interno del romanzo. La violenza si consuma durante una festa, in cui Emma assume alcol e droghe, perdendo il controllo di sé. Tant’è, che lei non ricorderà di aver vissuto quella violenza fino a quando non vedrà le foto che la ritraggono nel mentre.

Con queste due scelte narrative che allontanano volutamente Emma dallo stereotipo della vittima perfetta e attraverso il racconto doloroso della sua storia, O’Neill ci dice che a prescindere da qualsiasi contesto e da qualsiasi comportamento, se hai subito una violenza, sei una vittima.

Se ci viene naturale empatizzare con personaggi -e persone reali- che ci piacciono, l’autrice ci pone davanti la storia di una ragazza che probabilmente non ci piacerebbe, ma per la quale è impossibile non provare dolore e tristezza.

Ormai non starò mai con lui. Io appartengo a quegli altri ragazzi, come se mi avessero marchiata come un capo di bestiame.

La gogna mediatica e il victim blaming

La vicenda è resa particolarmente drammatica dal fatto che iniziano a circolare in rete le foto di Emma durante la violenza.

Dalle foto, è evidente che Emma fosse priva di coscienza e dunque non abbia potuto dare il consenso per l’atto sessuale, ma ciononostante, l’opinione pubblica addita lei come la colpevole, come quella che se l’è cercata, perché si ubriaca alle feste e va in camera con dei ragazzi, cosa si aspettava?

Oltre alla violenza, si aggiunge la vergogna di Emma di sapere di essere stata vista da tutti -compresi i suoi genitori- in una situazione così vulnerabile. Si sente esposta, non riesce a percepire più il suo corpo come qualcosa di privato, di suo.

Emma si trova a vivere due situazioni che la sconvolgono: da un lato, la violenza subita e dall’altra la gogna mediatica che la schiaccia ulteriormente. Da privilegiata e popolare, passa all’essere quella che cerca di screditare dei bravi ragazzi, quella che prima ci sta e poi se ne pente. Che i ragazzi sono ragazzi e se tu, ragazza, non ti sai controllare, la colpa alla fine è tua, mica loro.

La tragedia vera, però, è nella quasi totale mancanza di sostegno che Emma riceve.

È completamente sola, nessuno fa davvero lo sforzo di aiutarla, non i genitori, soprattutto il padre che la ritiene in buona parte responsabile della vicenda. L’unico che davvero prova a salvarla è il fratello, ma è solo contro una marea di altri voci che sembrano urlare ad Emma “datti per vinta, così tutto tornerà alla normalità”.

Ed Emma ci crede, decide di ritirare la denuncia nella speranza che tutti si dimenticheranno di quella vicenda. Che lei si dimenticherà di quella vicenda.

E qui, il dramma raggiunge il suo picco. Perché per quanto si sforzi, Emma non può dimenticare, semplicemente.

“Ma perché ci sei andata? Perché hai bevuto così tanto, Emmie? E perché diavolo eri su quel letto, Emmie? Credevo che fossi più sveglia. Credevo che ti avessimo cresciuta meglio.”

Conclusioni

La storia di Emma è purtroppo una storia già sentita perché tragicamente vera, una storia in cui troppe donne si riconoscono.

Quando si parla di violenza di genere, la prima cosa che viene detta è che si sta esagerando, che non tutti gli uomini sono così, che capita, certo, ma tu cosa hai fatto per farlo capitare?

L’educazione contro la violenza di genere deve partire da una base fondamentale: la vittima è sempre vittima, qualsiasi siano le circostanze in cui la violenza si è consumata.

Ed è su questo concetto che Louise O’Neill si sofferma continuamente durante il libro, perché per quanto sembri scontato, la verità è che non lo è affatto.

Te la sei cercata è un romanzo pesante, perché racconta una storia difficile, una delle cose peggiori che possano accadere ad una donna e il fatto che Emma non reagisca, che cada in uno stato depressivo, aiutata da pressoché nessuno, lo rende ancora più difficile da digerire.

Perché ci è più facile accettare questi eventi se poi c’è una rivalsa. Molto più difficile è dover fare i conti con l’altro lato della medaglia, quello in cui la donna smette di lottare, si annienta, il dolore subito è troppo forte, la schiaccia.

Emma non lotta, vive subendo passivamente quello che le accade intorno, non reagisce e non ci sarà mai una rivincita per quello che ha subito.

Ed è proprio questo, la sua imperfezione, la sua fragilità esposta che ce la rende ancora più vicina.

Perché per quanto la narrazione contro la violenza ci vorrebbe tutte pronte a lottare per avere giustizia -e sarebbe meraviglioso se davvero fosse così-, la verità è che spesso la violenza e, soprattutto il giudizio sociale successivo, ti schiacciano a terra, ti rendono passiva: se tutti ripetono che te la sei cercata, che la puttana sei tu, che cosa ci facevi in quella stanza, forse lo volevi? Inizi a crederci anche tu. E inizi a smettere di lottare.

Te la sei cercata è un romanzo necessario, soprattutto per il target a cui si rivolge.

Per lottare contro la cultura dello stupro bisogna partire da qui: dall’ascoltare le esperienze delle survivors e dal renderle oggetto di narrazione.

Per ricordarci che quando non c’è il consenso, quella è una violenza, sempre.

Perché non ce la siamo cercata mai, neanche una volta.

Y la culpa no era mía, ni dónde estaba, ni cómo vestía. El violador eras tú.

A presto,

Michela

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Qui vi lascio la mia ultima recensione su Io sono leggenda.

Nella recensione su Carmilla parlo ancora di femminismo e patriarcato.

Written by

Michela

Michela, 20+4, femminista, procrastinatrice seriale, a metà tra Verona e il mare del Molise. Leggo, scrivo, mi lascio stupire dal mondo e cerco di non arrabbiarmi troppo per i ritardi dei treni.