“What is my charisma, what is it I’ve got
What is it about me that gets you so hot, hot, yeah!”

Così cantavano i Kiss parecchi anni fa.

Cosa cazzo è il charisma, fortunato chi ce l’ha come nel caso della zebra a pois.

Signori si nasce, carismatici si diventa, o forse no. L’ascendente sul prossimo si sviluppa grazie all’intelligenza e all’esperienza, ma probabilmente è indispensabile una qualche base genetica, e questo ci porta dritti ai protagonisti dell’articolo di oggi, due personaggi che nobilitano e trasformano in oro ogni stronzo pestato sul marciapiede.

Signore e signori, ecco a voi:

I gemelli: “THE ROCK” & MARCO GIALLINI.

Dwayne Johnson, al secolo “the Rock” nasce come wrestler in seno alla WWF (poi WWE) e fin dagli esordi, infiamma il pubblico a ogni scorreggia; nella cosiddetta età dell’oro, quando la scena pullula letteralmente di fenomeni destinati a imperitura fama, si impone non tanto per prestanza o qualità atletiche, tutto sommato standard, ma per la mimica facciale, il senso innato dei tempi comici, l’attitudine genuinamente clownesca.

Appare subito chiaro che “The Rock” ha lo spettacolo nel sangue. Suo padre, Rocky Johnson, e il nonno Peter Maivia, calcano il ring/palcoscenico da una vita: è quindi naturale immaginarlo a interagire coi famigliari mediante un’esagerata gestualità teatrale e buffi faccioni, sin dalla più tenera età.

Un simile retaggio non poteva produrre niente meno del Toon vivente che Dwayne è oggi: se fosse comparso in “Chi ha incastrato Roger Rabbitt?” pensate davvero che sareste stati in grado di distinguerlo dagli altri cartoni?

Il fatto che sia BEDDISSIMO (grazie anche ad alcuni ritocchi) e che il suo corpo vanti le dimensioni di un carrarmato, a cagione di una genetica formidabile, del duro allenamento e dosi inusitate di steroidi, non è certo d’intralcio. In merito, The Rock è di una sincerità disarmante: ammette l’uso di anabolizzanti sin da sempre e di essersi rifatto le tette (pettorali) perché sbirule e affatto confacenti al suo ideale di perfezione.

Lasciata la WWE alla prima occasione (il wrestling resta una disciplina rischiosa e usurante, sebbene i combattimenti siano simulati) Dwayne debutta ne “Il re scorpione” e di lì in poi partecipa a innumerevoli film: sebbene molti siano delle stronzate emerite, non ce n’è uno che non risulti TROPPO divertente in virtù della sua sola presenza.

“Faster” opera misconosciuta in cui compare nel ruolo di protagonista, ne mette definitivamente in luce le ottime qualità attoriali: basti pensare che la gigantesca performance di Johnson eclissa per l’occasione addirittura quella del mostro sacro Billy Bob Thornton.

Il suo talento recitativo tuttavia non trova collocazione nella macchina Hollywoodiana: perché proporre al pubblico qualcos’altro se esplosioni, morti ammazzati, botte e figa vendono più di qualsiasi alternativa?

E allora, echeggiando la carriera di Sylvester Stallone, vai di dinosauri, vulcani e sparatorie, con qualche coraggiosa incursione in ambientazioni più tetre e realistiche (“Snitch“ e “Empire State”) in cui il nostro cerca, invano, di passare per una persona normale.

Con l’entrata trionfale nella saga di “Fast & Furious” The Rock imbocca una strada apparentemente senza ritorno, culminata nel recente “Rampage: furia animale” in cui affronta un lupo, un coccodrillo e un gorilla giganti.

Chi mai potrebbe vedersela alla pari con un simile bronzeo adone, atleticamente inarrivabile e chissà, magari nerchiuto al di là dell’umano?

Dal mio punto di vista, uno e uno soltanto, la cui “fazza” basta a tener testa a Godzilla, la cui parlata annichilisce, il cui charisma, eccoci di nuovo, s’esprime scandito dall’inconfondibile accento caratteristico dell’Urbe.

Sua maestà Marco Giallini.

Come Charles Bronson prima di lui, l’attore romano esprime, nei lineamenti del volto perennemente aggrottati, un innato incazzo, come se una presa ferrea gli stritolasse senza pietà i coglioni; in quanto a immagine, si fa pertanto portavoce dello sdegno di noi tutti, tenuti per le palle dal porco mondo.

Da dove arriva? Non lo so (dal teatro, senza dubbio), e non mi va di googlare. Lo avevo notato nel cast di un film di Verdone, che poi non ho visto. Successivamente compare nel ruolo di un poliziotto nella miniserie “Il mostro di Firenze” e con una sola battuta entra di diritto nella Storia:“Chi ‘se fa’ pecora, er lupo s’a magna”.

In “ACAB” ruba la scena a chiunque.

Gente pur brava, sparisce in sua presenza: Alessandro Gassman, Claudio Santamaria, Pierfrancesco Favino.

Il serial televisivo “Rocco Schiavone” è di fatto un One Man Show; “Rimetti a noi i nostri debiti”, prodotto da Netflix, l’apoteosi.

Sia in ruoli drammatici che nelle commedie (come “Beata ignoranza”), Giallini eccelle: la sensazione è che anche dal salumiere, quando ordina “du’ etti de’ mortadella”, tutti s’azzittino per ascoltarlo.

Coi muscoli somiglierebbe a Clint Eastwood in “Assassino sull’Eiger (The sanction) del 1975, ma noi lo preferiamo com’è, secco e fastidioso, tutto sommato abbastanza credibile anche quando c’è da menare.

Tornando a bomba sul wrestling, chiudo citando Dan Peterson, che all’alba dei tempi lo commentava, e pubblicizzava anche una nota marca di tè.

Marco Giallini: per me, numero uno.

 

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