Ho sempre avuto un rapporto di sana diffidenza nei confronti dei classici, pari solo all’ammirazione nei confronti di chi legge solo ed esclusivamente quelli. Negli anni, ho cercato di sfidare questa mia reticenza, ma, il più delle volte, torno sui miei passi convinta che i classici difficilmente diventeranno il mio genere.

Purtroppo, Il grande Gatsby si è risultato essere uno di quei libri che apri con aspettative altissime, che, nel mio caso, sono state disattese.

Ma andando con ordine: Il grande Gatsby è uno dei romanzi più celebri di Francis Scott Fitzgerald, pubblicato per la prima volta nel 1925. Ammetto di aver anche visto il film ispirato a questo libro e, per la prima volta in vita mia, credo che la trasposizione cinematografica abbia molto più spessore rispetto al libro.

Il narratore – ma non protagonista – di queste vicende è Nick Carraway, un uomo qualunque con un impiego in Borsa che, dopo gli studi, decide di trasferirsi a West Egg. In modo del tutto inaspettato e repentino, Nick entra a far parte di un mondo frivolo e sfavillante – pur mantenendo sempre il suo ruolo di spettatore passivo – che rispecchia appieno i meravigliosi Anni Venti. C’è la vanità, il vizio, l’eccesso, l’adorazione per gli abiti di sartoria e per tutto ciò che è futile. Tutto è spettacolo, tutto è esaltato.

Le prime 70 pagine, in cui Nick si limita a descrivere le sue nuove conoscenze e la superficialità con cui affrontano il mondo circostante, mi sono sembrate estremamente lente. Si sentiva, a mio avviso, l’assenza del vero protagonista: Jay Gatsby, un uomo avvolto da così tanto mistero che in pochi sembrano conoscerlo – o riconoscerlo – davvero. Le voci su di lui si sprecano e, il più delle volte, tendono a essere maligne. Sì perché Gatsby non è nato ricco, ma si è “creato dal nulla”e il modo in cui abbia fatto i soldi è sconosciuto a chiunque, ma, come si dice in questi casi, l’importante è che se ne parli.

Oltre a essere una vera e propria star, idolatrata e disprezzata in egual misura, Gatsby è il vicino di casa di Nick, il quale si ritroverà a essere invitato a uno dei suoi party da sogno. Fin da subito, il lettore si accorge che per Gatsby è molto più importante ciò che cela rispetto a ciò che ostenta; basti pensare al fatto che, delle centinaia di persone presenti a casa sua, l’unico con un invito ufficiale era proprio Nick, trascinato quasi con la forza in un mondo patinato e adocchiato da Gatsby per un motivo ben preciso.

Se dovessi spiegare quali sono le cose che ho apprezzato di questo libro, la lista sarebbe davvero striminzita. Posso dire con certezza che il personaggio di Gatsby e la sua complessità sono l’elemento portante di tutto il romanzo, tanto che, finché non appare, facevo fatica a trovare un motivo per continuare a leggere. Gatsby incarna gli anni 20 in maniera impressionante: il sogno americano, l’eccesso e lo sfarzo a tutti i costi, la ricchezza intesa quasi come un valore. E tutto per cosa?

Per amore.

Ed è questo il secondo grande pro di questo romanzo: il modo in cui Gatsby ama Daisy, la sua incapacità di lasciarla andare e la voglia di proteggerla da tutto e da tutti, riflettono al meglio la storia d’amore tossica tra Francis e Zelda Fitzgerald. Tutto quello che Gatsby fa, tutto quello che Gatsby è, viene fatto solo in funzione di Daisy e della sua approvazione.

Ma due punti positivi non bastano per parlare di un bel libro In conclusione, ho trovato questo romanzo molto sopravvalutato. Il ritmo è spesso reso lento a causa dei vaneggiamenti del narratore, che osserva, ma agisce di rado. Un libro che celebra un’epoca, ma che non è stato in grado di farmi pensare: “Questo sì che è un bel libro con una bella storia!”

Voto: 2/5

 

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