Ho avuto il piacere di intervistare Gabriele Levantini, autore de Il giardino sulla spiaggia -che ho recensito qui sul blog- e quello che leggerete di seguito è il risultato di tale intervista. Spero possa essere interessante per voi leggerla come lo è stato per me farla, buona lettura!

Iniziamo questa intervista con uno spazio libero in cui lei può presentarsi ai lettori di sarascrive.com 

È un grande piacere, grazie di questa intervista! Che dire? Gabriele Levantini, classe 1985, viareggino trapiantato a Lucca, impiegato di giorno e scrittore di notte. Ho un superpotere, che è quello di essere un inguaribile sognatore, e grazie a questo riesco a guardare il mondo con occhi sempre nuovi, alla ricerca di quello che non si vede. Fin da piccolo questo mi ha portato ad avere la testa tra le nuvole e una grande passione per la scrittura.  

Nel 2017 ho aperto un blog¹ dove ho iniziato a postare alcuni racconti, dai quali ho ricavato in seguito l’omonimo libro: Il Giardino sulla Spiaggia. Racconti da un lontano viaggio interiore, che è stato il mio esordio come scrittore.  

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I suoi racconti sono palesemente uniti da un fil rouge pur essendo, di fatto, indipendenti. Come nasce la scelta di questa unione tra loro? E da cosa nasce la scelta di utilizzare il racconto come forma di narrazione? 

Al di là delle singole trame e ambientazioni, quello di cui parlano veramente questi racconti, sono emozioni, sentimenti e stati d’animo. Sono iperboli narrative che, pur essendo di fantasia, partono da qualcosa di universale, che tutti abbiamo provato. In tal senso si tratta di racconti psicologici 

Il filo che li unisce tra loro è il viaggio interiore che stavo vivendo nel momento in cui li ho scritti. Ha avuto inizio in un momento per me difficile, di crisi e di smarrimento, e infatti i primi brani, introdotti da Il porto delle Nebbie, sono intrisi di un’atmosfera cupa e indefinita. Via via che approfondivo la conoscenza di me stesso, le atmosfere dei miei racconti si rischiaravano gradualmente, con testi come Vento estivo. Infine, raggiunto un maggior grado di consapevolezza, ho introdotto temi più filosofici, sul senso della vita, come nel racconto L’ultima fermata. A questo punto, compiuto il mio percorso, ero pronto finalmente parlare di me senza più maschere narrative, ed è ciò che ho fatto nell’ultima parte del libro, autobiografica.  

La scelta di ricorrere al racconto breve -se non addirittura del microracconto– come forma di narrazione, nasce da una voglia di comunicazione immediata, e che al tempo stesso lasciasse volutamente una sensazione di incompiutezza. La mia speranza è infatti che siano uno stimolo affinché ogni lettore intraprenda il suo personale viaggio interiore 

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Soffermiamoci un attimo sul titolo: quel “giardino sulla spiaggia” che è insieme luogo chiuso e luogo aperto, come è nato? È stato il frutto di un’intuizione, di una sensazione o di altro? 

Direi una sensazione e una necessità. Il libro infatti prende il titolo dal blog, che a sua volta si riferisce al fatto che questi racconti, pur essendo stati pubblicati e quindi “aperti” al mondo, hanno avuto origine nelle mie più profonde 

Un luogo chiuso e intimo come un giardino, ma affacciato su uno spazio aperto verso l’orizzonte, come una spiaggia, rende molto bene questa contrapposizione.  Essendo un grande amante sia della natura e del verde, che del mare, questimmagine mi è subito saltata alla mente 

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La narrazione procede in prima o in terza persona a seconda dei capitoli -e quindi dei racconti-: come mai ha effettuato questa scelta? E, soprattutto, l’ha effettuata per veicolare un messaggio particolare? 

Ho voluto far provare al lettore quello che provavo io quando ho immaginato questi racconti: laddove le emozioni erano più vivide e forti dentro di me, provando un maggior grado di immedesimazione nei personaggi ho sentito come naturale la scelta di ricorrere alla narrazione in prima persona.  

Altre volte, invece, ho avvertito la necessità di usare una voce narrante esterna, come se raccontassi una presa di consapevolezza già consolidata 

Più che per il lettore, direi quindi che ho compiuto questo tipo di scelta per me stesso.  

In entrambi i casi, comunque, i racconti sono stati scritti inizialmente di getto, e affinati in riletture successive, cercando di non intaccare la loro spontaneità, a cominciare dallo stile del linguaggio, che è piuttosto asciutto e diretto 

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All’interno di molti racconti presenta situazioni differenti che però portano alla ripetizione delle medesime frasi quasi a simboleggiare un riavvolgimento di nastro, un cane che si morde la coda, un ciclo che si ripete tale e quale. Perché ha operato questa scelta?  

La narrazione ciclica è una tecnica che mi piace molto. L’ho utilizzata a volte per suggerire un senso di intrappolamento in una situazione, come ad esempio nei racconti Veleno e Il Peso, oppure per evidenziare il diverso punto di vista tra l’inizio e la fine della storia, sottolineando così il percorso interiore del protagonista, come ad esempio in Risveglio.   

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Verso la fine del suo libro cita la curiosità come motore del suo amore per la scrittura -ma anche per altro-; come pensa che la curiosità che abita in lei fin da bambino possa aver condizionato il suo modo di scrivere? 

Sono una persona estremamente curiosa e questo condiziona un po’ tutti gli aspetti della mia vita. Amo analizzare le cose e cercare di capirne i meccanismi e queto mi porta, tra le altre cose, a farmi un sacco di domande e a guardarmi dentro. Credo che questo aspetto della mia personalità mi porti a mantenere allenata la mia intelligenza emotiva e a cercare di non fermarmi ad una visione superficiale delle situazioni. Cose che poi inevitabilmente si riflettono sul mio modo di scrivere.  

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Sempre nella parte autobiografica, racconta del ruolo fondamentale che la sua famiglia -soprattutto i nonni- ha avuto durante la sua infanzia: crede che la voglia di narrare storie le sia nata anche ascoltando quelle di suo nonno? 

Sicuramente. Passavo ore ed ore a sentire i miei nonni mentre mi raccontavano le loro vite e quei momenti così speciali mi mancano davvero moltissimo. Viaggiavo nei loro ricordi con la mia fantasia e poi inventavo storie ispirate alle loro. I racconti più avventurosi erano quelli di mio nonno Marino, medaglia d’oro di lunga navigazione.  

Questa mia inclinazione allo storytelling è stata ben incanalata nella scrittura grazie agli incoraggiamenti a scrivere da parte della mia famiglia fin dall’infanzia. Inoltre, in quegli anni fondamentali per lo sviluppo del mio carattere, mio papà ha davvero saputo trasmettermi una grande passione per la scrittura, spingendomi e aiutandomi a partecipare a numerosi concorsi 

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Si è laureato in chimica, seguendo la sua passione per la materia, coltivando in parallelo anche l’amore per la scrittura, se le chiedessi chimica o scrittura che cosa mi risponderebbe? 

Sono entrambe parte di me. La chimica rappresenta alla perfezione il mio lato analitico e razionale, mentre la scrittura quello più sognatore, sempre alla ricerca di qualcosa che la sola materia non può soddisfare.  

Questi due aspetti convivono in equilibrio instabile nella mia anima, ma sempre più –e oggi più che mai- c’è una gran voglia e un gran bisogno di sognare. Perciò credo che alla fine il Gabriele scrittore avrà la meglio sul Gabriele chimico. Siamo carbonio, azoto, fosforo e ossigeno, ma quello prima o poi passa. L’amore, invece, sopravviverà anche dopo di noi.  

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L’intervista si conclude qui, la ringrazio per aver avuto la pazienza di rispondere alle mie domande e le faccio un grosso in bocca al lupo per il futuro! 

Grazie mille! E in bocca al lupo anche a lei! 

 

Rivolgo ancora un grande grazie a Gabriele Levantini per aver accettato l’intervista e spero che voi lettori l’abbiate gradita.

Ilaria

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Ilaria

Sono una studentessa universitaria appassionata di teatro e di recitazione in generale ma anche di tennis.