Siamo negli anni 60’ del Novecento quando la cosiddetta cultura di massa impazza in Italia. Sono gli stessi anni in cui Italo Calvino parla di un mondo senza peso, dove regna l’usa e getta. Eugenio Montale dirà addirittura che non c’è più spazio per la poesia. Eppure in questo contesto, Calvino pubblica Le Città Invisibili nel 1972, vedendo in esse la possibilità di trovare uno spazio in cui abitare.

La contrainte

Nel 1964 Italo Calvino si trasferisce a Parigi perché invitato dall’OULIPO, cioè il Laboratorio di letteratura potenziale. Gli esperimenti messi in atto da quest’ultimo sono tutti fondati su una cotrainte, una costrizione che consiste nel dare un impedimento alla produzione letteraria in modo tale che la fantasia sia costretta a dare il massimo. Difatti la costruzione granitica delle Città Invisibili è una contrainte, che Calvino mette in atto per poter creare.

Il diamante delle città

Calvino diceva che le Città Invisibili sono un sogno che nasce dalle città invivibili. Sono pure invenzioni fantastiche, senza tempo e senza spazio ed hanno tutte il nome di una donna, poiché hanno la capacità di essere grembo di una sfaccettatura precisa dell’essere umano.

Le 55 città presentano la struttura di un diamante e così come il carbonio del diamante va a formare lunghissime catene, anche le città sono collegate, da un filo invisibile, le une alle altre, in un labirinto infinito.

Città che in realtà Calvino dice essere mentali, in cui assenza e vuoto si percepiscono.

Le ceneri di dolore

Calvino ci catapulta alla corte di Kublai Kan, in un impero nel punto di sgretolarsi, un istante prima che diventi polvere. Soltanto nei racconti di Marco Polo, suo messo, riesce a trovare un filo che sembra dare ordine alle cose.

In una fase di depressione dovuta alla consapevolezza che il suo impero sia destinato a cadere, Kublai Kan è convinto di poter arrivare a conoscere le sue terre attraverso prima i gesti e poi le parole di Marco Polo. Ma il navigatore dice che per sapere la misurazione esatta di questo diamante, Kublai deve prendere in considerazione le ceneri di dolore di città che non sono mai esistite.

Le cose che non si sono mai concretizzate, non hanno dignità minore. Bisogna pensare a quel residuo di polvere dell’esistenza, a tutto ciò che è stato scartato. In queste città è contemplata quell’esistenza di tutto quel mondo che non essendo stato, può almeno essere raccontato.

Calvino progetta il diamante perfetto, ma conta e racconta anche il residuo dell’infelicità, raccogliendo sulla carta tutto ciò che poteva essere ma che non è stato. È proprio l’invisibile che Marco racconta a Kublai Kan.

 

 

Alessia

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Alessia

Classe 1999. Studentessa universitaria. Curiosa della vita.