Crescere con sei sorelle ha significato vivere dentro una casa sempre piena di vita, di rumori, di voci sovrapposte e di emozioni che non conoscono tregua. C’è chi immagina una famiglia così numerosa come un caos ingestibile, e in effetti lo è, ma è anche un caos meraviglioso, pulsante, pieno di affetto e di significato. Io le amo, le adoro, e so che senza di loro non sarei mai diventata la persona che sono oggi. Ogni mio ricordo più felice ha una di loro dentro, spesso più di una, e a volte tutte insieme: Giulia con il suo senso di responsabilità e diplomazia, Marta con la sua eleganza silenziosa, Irene con il suo carattere di fuoco, Mavi con la sua intelligenza tagliente, Ilaria con la sua sensibilità e ilarità, e Flavia con la sua spavalderia da piccola donna. Siamo cresciute come un’unica entità, come una squadra in cui le individualità si intrecciano, si completano e si difendono a vicenda.
Da figlia posso dire che avere tante sorelle è la cosa più bella del mondo, anche se da genitore immagino sia una sfida logorante, fatta di notti insonni, di spese senza fine, di tempo che non basta mai. Avere sette figlie deve sembrare a tratti un’impresa eroica, ma da figlia la prospettiva cambia completamente: non vedi la fatica, vedi la compagnia; non pensi ai conti, pensi alla presenza; non senti il rumore, senti la vita. Essere una delle sette significa sapere che non sei mai sola, che qualunque cosa accada ci sarà sempre qualcuna pronta a tirarti su, a difenderti, a riderti in faccia quando stai per crollare, perché in fondo la nostra famiglia è un piccolo esercito in cui si combatte, sì, ma si combatte sempre per amore.
Papà, che per mestiere ha visto centinaia di famiglie distrutte da questioni ereditarie e da soldi messi davanti agli affetti, ci ha fatto un lavaggio del cervello — e lo dico nel senso più positivo possibile — ricordandoci sin da bambine che nessuna cifra al mondo può valere più del legame che ci unisce. È stato lui a ripeterci, quasi come una preghiera, che i soldi passano e la famiglia resta, che i beni materiali vanno e vengono ma la sorellanza è la vera eredità che una persona può avere. Così siamo cresciute con l’idea che nessuna di noi dovrà mai permettere che qualcosa di esterno spezzi ciò che abbiamo di più sacro: l’essere sorelle. Forse è per questo che, anche nelle giornate peggiori, anche dopo i litigi più duri, non riusciamo a restare arrabbiate per più di qualche ora. L’amore torna sempre, puntuale, come un riflesso naturale.
Se penso a un momento in cui questa unione è stata più forte che mai, la mente corre subito ad Amalfi. Quel viaggio, il primo fatto solo tra noi sorelle, è stato molto più di una vacanza: è stato il simbolo della nostra libertà e della nostra complicità. Ricordo la macchina carica all’inverosimile, le valigie stipate ovunque, le canzoni a tutto volume, le risate che riempivano l’abitacolo e quell’euforia dolce di chi sente di poter andare ovunque. Dormivamo in un piccolo appartamento affacciato sul mare, con il sole che entrava al mattino e il profumo dei limoni che si spandeva ovunque. Ci svegliavamo tardi, decidevamo cosa fare all’ultimo momento, passeggiavamo per le stradine di Amalfi con i sandali pieni di sabbia e il vento caldo che ci spettinava i capelli. E in quei giorni ho capito che il legame tra di noi è qualcosa che non si può spiegare: basta uno sguardo per capirci, un gesto per farci ridere, una parola per ricordarci chi siamo. Amalfi è stata il nostro modo di dirci che, anche da adulte, il filo che ci lega è più forte di tutto.
Se Amalfi e tutte le vacanze che stiamo facendo insieme, senza genitori, rappresentano la libertà, Lavinio invece è la nostra infanzia. È il luogo dove abbiamo imparato a ridere insieme, a condividere l’attesa, la paura, l’euforia. Ogni volta che ci tornavamo sembrava di entrare in un mondo sospeso, in cui il tempo non esisteva e tutto era possibile. Tra i nostri luoghi del cuore c’è anche Gardaland, dove correvamo mano nella mano da una giostra all’altra, con mamma che ci rincorreva e papà che cercava di immortalarci con la macchina fotografica, mentre noi andavamo ovunque e poi tornavamo in camper distrutte. Ognuna aveva il suo ruolo anche lì: la più coraggiosa che voleva salire su ogni montagna russa, la più timorosa (io, ma solo fino a 13 anni) che si rifugiava sulla giostra dei pisciasotto, quella che cercava lo stand dei peluche o quello delle crepes. Guardavo tutte e sentivo quella sensazione che ancora oggi mi accompagna: la certezza che, nonostante tutto, noi siamo una cosa sola.
Crescere con sei sorelle significa vivere in un continuo equilibrio tra rumore e tenerezza, tra gelosie e alleanze, tra urla e abbracci. Ci si ruba i vestiti, ci si contende lo specchio o il bagno, si litiga per sciocchezze che un minuto dopo non hanno più senso, ma alla fine si torna sempre lì, a ridere insieme come se nulla fosse successo. Perché la verità è che il nostro legame non si rompe mai: se una cade, le altre sei la tirano su; se una soffre, le altre sei fanno di tutto per farla ridere; se una sogna, le altre sei fanno il tifo per lei. Non siamo solo sette sorelle, siamo sette versioni della stessa forza.
A volte penso a quanto siamo fortunate. So che da genitore avere tanti figli è la cosa più faticosa del mondo: servono soldi, tempo, energie infinite, e non ci sono mai abbastanza mani o ore nella giornata per fare tutto. Ma da figlia posso dire che non c’è dono più grande. I miei genitori ci hanno dato la cosa più preziosa che esista: una famiglia vera, piena, imperfetta ma indistruttibile. La loro vera eredità non è fatta di beni o proprietà, ma di valori: la sorellanza, la lealtà, la solidarietà, la consapevolezza che nessun successo individuale vale quanto restare unite.
Le mie sorelle sono la mia radice e la mia forza, la mia infanzia e il mio futuro, il mio rifugio e il mio orgoglio. Quando le guardo, penso che la mia vita, senza di loro, non avrebbe la stessa luce. Perché, in fondo, crescere in una famiglia numerosa significa imparare fin da piccoli che l’amore non si divide, si moltiplica — e che, qualunque cosa succeda, dove va una, vanno tutte.

Qui Sara Scrive, passo e chiudo!




