Dovremmo essere tutti femministi è la versione rivista di un intervento che la scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie ha tenuto nel 2012 al TEDXEuston Conference. In Italia è edito da Einaudi. In questo intervento (potete trovare il discorso qui), la scrittrice parla di femminismo e della sua importanza cruciale nella nostra società. Tramite un excursus sulle sue esperienze personali, Adichie fa un’analisi brillante e attuale del motivo per cui dovremmo tutti definirci femministi. E, soprattutto, del motivo per cui il femminismo si porta dietro così tanti stereotipi.

Titolo: Dovremmo essere tutti femministi
Anno
: 2014
Casa editrice
: Einaudi
Genere
: Saggio
Traduttore
: Francesca Spinelli
Lunghezza
: 44 pagine
Valutazione
: ★ ★ ★ ★ ★

Ho l’impressione che la parola “femminista”, e l’idea stessa di femminismo, siano altrettanto limitate dagli stereotipi.

Chimamanda Ngozi Adichie

Chimamanda Ngozi Adichi è una scrittrice nigeriana che attualmente risiede negli USA. I suoi romanzi Metà di un sole giallo, Americanah e L’ibisco viola sono vincitori di numerosi premi internazionali. Nei suoi libri affronta questioni sociali legate ai temi del femminismo, dell’uguaglianza sociale e ci offre uno sguardo sulla cultura e la società nigeriana. Nel 2014 la rivista Time Magazine l’ha inserita nell’elenco delle cento persone più influenti al mondo.

Dovremmo essere tutti femministi: il femminismo è un tema attuale?

A un certo punto ero diventata una Femminista Felice Africana Che Non Odia Gli Uomini e Che Ama Mettere il Rossetto e i Tacchi Alti Per Sé e Non Per Gli Uomini.

Così scrive Adichie nelle prime pagine di questo breve testo, introducendoci a quelli che sono gli stereotipi che si pensano quando si parla di femminismo. Che le femministe odiano gli uomini. Non vogliono curare il proprio aspetto fisico. Sono infelici, perennemente arrabbiate.  Che l’ideologia femminista collide con la cultura africana.

In questo testo Adichie parla molto delle sue esperienze personali, da cui prende spunto per portare nel dibattito quelle che sono le ingiustizie contro cui il femminismo combatte.

È sconcertante vedere come, con acume e semplicità, gli esempi portati da Adichie ci riconducano alla nostra realtà.

Quante volte, alle donne, viene rimproverato un atteggiamento aggressivo che in realtà in un uomo verrebbe elogiato come “forte, virile, dal pugno fermo”? Quanto spesso , le donne vengono svilite perché “emotive”? O inadeguate. Troppo deboli. Quante donne, per salire, devono diventare la copia sbiadita di un uomo, assomigliare ad un modello definito come norma?

Molti dicono che il femminismo non serva, che viviamo in una società ormai egualitaria in cui uomini e donne ricevono lo stesso trattamento, hanno gli stessi diritti e doveri. Eppure, basta guardare con un occhio meno abituato a cadere in certe trappole e più cosciente per capire che non è così. Quante donne ci sono in un posto di comando, politico o aziendale che sia? Adichie scrive, riportando le parole di una sua amica, che “più sali e meno donne trovi”. Perché, se viviamo in una società che molti definiscono egualitaria, gli uomini al comando sono di più? Non credo che non ci siano donne adatte a quei ruoli, con le stesse competenze e conoscenze degli uomini. Se nelle società arcaiche valeva la regola che chi era più forte aveva il comando, oggi ci siamo evoluti e la forza fisica non è un requisito per il comando. Lo sono l’intelligenza, la perspicacia, le capacità. E tutte queste qualità non dipendono dal genere. Possiamo esserci evoluti come società, “ma le nostre idee sul genere non si sono evolute molto”.

Quanto sbagliamo nell’educazione dei bambini e delle bambine?

Adichie parla molto anche del fatto che, se vogliamo una società più egualitaria, dobbiamo cambiare sì il nostro modo di pensare, ma anche quello in cui educhiamo bambini e bambine. Perché se li abituiamo che una cosa, per quanto sbagliata, sia normale, quella cosa diventerà normale. Se li abituiamo al fatto che siano gli uomini a comandare, le donne ad essere subordinate, quella cosa diventerà naturale. Ma non lo è.

Facciamo un grande errore educando i nostri bambini: soffochiamo la loro emotività, se sono maschi. Diciamo alle ragazze di non essere troppo ambiziose, toste, perché spaventano i ragazzi. Diamo della virilità e della femminilità delle definizioni rigide. Costringiamo i ragazzi e le ragazze ad aderire a modelli, ad entrare in gabbie ideologiche, che non funzionano. Certo, potremmo dire che è facile rimediare, basta rifiutare tutto questo. Ma la società e il modo in cui interiorizziamo i costrutti sociali sono più complessi di così. Non basta rifiutarsi. Perché rifiutarsi porta all’esclusione sociale. Bisogna, invece, trovare il modo per far sì che certe idee cambino. Il rifiuto della norma può essere un primo passo. Ma discutere del perché si rifiuti una norma può portare alla messa in discussione di certe idee. E, con impegno, ad un progressivo cambiamento.

Dobbiamo impegnarci, educando i nostri figli, a concentrarci sulle loro capacità, sui loro interessi. Non sul loro genere.

Il problema del genere è che prescrive come dovremmo essere invece di riconoscere come siamo. Immaginate quanto saremmo più felici, quanto ci sentiremmo più liberi di essere chi siamo veramente, senza il peso delle aspettative legate al genere.

Conclusioni: perché definirsi femministi è fondamentale

Questa non vuole essere una recensione, ma semplicemente uno spunto di riflessione.

È vero, oggi le donne hanno diritti che prima non avevano, hanno vinto numerose battaglie. Ma la nostra non è una società egualitaria. Non si può dire di vivere in una società egualitaria se l’essere umano maschile ha ancora il ruolo dominante. Essere donna e femminista nel XXI secolo è difficile. Perché c’è chi ti dice che ci sono battaglie più importanti, come se poi non si potessero combattere tutte nello stesso momento. C’è chi ti dice che sei estremista, esagerata. Chi ridicolizza quando si fa notare quanto tante cose siano ancora ingiuste e incredibilmente disuguali tra i generi. In poche righe Adichie fa capire quanto faccia male sentirsi invisibili, discriminate per il proprio genere. Forse per gli uomini è difficile capirlo, ma viviamo in una società in cui una donna non sposata o che non ha figli ad una certa età, viene vista male. Dove una donna, a parità di competenze e formazione, viene pagata meno del suo collega uomo. In una società che trova normale che sia la donna a tenere in ordine la casa, a badare i figli, che anzi ringrazia il suo compagno quando la aiuta. Dove noi donne siamo incoraggiate, per non dire costrette, ad apparire nel modo in cui la società si aspetta. E se non rientriamo in quei vincoli estetici giammai, siamo schernite, ghettizzate. Questa non è una società egualitaria.

Non mi piacciono i discorsi degradanti sugli uomini, così come non mi piacciono i discorsi alla “Non tutti gli uomini”. È vero, non tutti gli uomini. Ma molti sì, e questo dovrebbe farci riflettere. Il femminismo sarà necessario fino a quando non cesserà la condizione subalterna delle donne. Fino a quando le donne verranno riconosciute come individui a parte dagli uomini, che non dipendono da loro, che non ne sono un’appendice, un orpello.

Fino a quando una donna verrà uccisa da un uomo perché ha detto di no, fino a quando verremo ancora umiliate con aggettivi degradanti, fino a quando ci verrà ancora detto come vestirci, come porci, come vivere la nostra vita, il nostro corpo, la nostra libertà, il femminismo sarà necessario.

Il genere ci rende diversi sul piano biologico, ci dà delle funzioni biologiche differenti, ma noi siamo più di animali. Abbiamo raziocinio, abbiamo creato società complesse. Non possiamo scusare certe differenze evidenti ponendo in campo la biologia. Una donna ed un uomo, dal punto di vista di capacità non sono diversi. Io sogno un mondo in cui non si dia per scontato che le donne stiano a casa con i figli perché essendo donne sono loro a dover rinunciare alla carriera. Sono stanca di sentire donne che si credono fortunate perché il loro compagno le aiuta nelle faccende domestiche. Sono stanca di sentirmi dire che prima o poi verrà voglia anche a me di sposarmi, di fare figli, perché è “naturale”. Sono stanca che mi si dica che dovrei cambiare atteggiamento, perché così intimidisco gli uomini. Io voglio essere così. E non voglio giudizi sul mio aspetto, il mio corpo, il mio carattere. Sono stufa di dover proteggere una mascolinità tossica e fragile. Sono stanca di subire e di doverlo fare in silenzio. Sono stanca di essere considerata subordinata. Io sono una donna, sono indipendente e libera e sogno un mondo di ragazze forti, indipendenti, libere. Sogno un mondo in cui le differenze tra generi non producano differenze sociali.

C’è chi chiede: “Perché la parola femminista? Perché non dici semplicemente che credi nei diritti umani, o giù di lì?”. Perché non sarebbe onesto. Il femminismo ovviamente è legato al tema dei diritti umani, ma scegliere di usare un’espressione vaga come “diritti umani” vuol dire negare la specificità del problema del genere. Vorrebbe dire tacere che le donne sono state escluse per secoli. Vorrebbe dire negare che il problema del genere riguarda le donne, la condizione dell’essere umano donna, e non dell’essere umano in generale.

A presto,

Michela

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Qui troverete la mia ultima recensione su Il mondo di Sofia, mentre qui vi parlo di Solo per sempre tua, un altro romanzo che affronta, in chiave diversa, le tematiche femministe.

Written by

Michela

Michela, 20+4, femminista, procrastinatrice seriale, a metà tra Verona e il mare del Molise. Leggo, scrivo, mi lascio stupire dal mondo e cerco di non arrabbiarmi troppo per i ritardi dei treni.