Recensione “Between” – un “The Society” che non ci ha creduto abbastanza

Salve a tutti e grazie in anticipo per aver aperto questo articolo!

Oggi voglio parlare di una serie canadese di nome Between, che ha debuttato nel maggio 2015 su Citytv e sulla piattaforma di streaming Netflix.

La serie, composta sua due stagioni da appena sei episodi ciascuna, ha per protagonista Jennette McCurdy (se pensate di aver sentito il suo nome da qualche parte probabilmente è perché ha interpretato Sam nella serie tv iCarly e nel suo spin-off/sequel Sam&Cat); qui la troviamo invece ad interpretare un ruolo totalmente diverso: quello di Wiley, un’adolescente incinta che viva nella città di Pretty Lake, dove un virus misterioso ha cominciato ad uccidere tutti i coloro che avevano superato i 22 anni. I sopravvissuti vengono quindi costretti  bruciare i corpi e l’intera città viene messa in quarantena; qualsiasi contatto con il mondo esterno viene impedito e tutti devono imparare a sopravvivere in un mondo diverso da quello a cui sono abituati.

Nel cast abbiamo anche Justin Kelly (The latest buzz e Degrassi) nel ruolo di Chuck, Brooke Palsson nei panni di Melissa, la sorella di Wiley, Jesse Carere (già visto in Finding Carter). Kyle Mac, Jim Watson e Jordan Todosey sono invece i problematici fratelli Creeker.

Ho cominciato la serie dopo averla avuta su TvTime per almeno un anno. A convincermi, oltre alla trama e alla voglia di vedere Jennette McCurdy alle prese con un ruolo nuovo, è stato il fatto che la serie avesse pochi episodi e, a differenza di molti originali Netflix, tutti durassero quarantacinque minuti. Ispirata comunque dalle somiglianze che sembravano esserci con “The Society”, mi sono lanciata verso la serie dopo aver visto a malapena mezzo trailer.

Diciamo che al di là della trama che cerca di risultare accattivante, la serie non parla di nulla che in realtà non sia già stato visto e rivisto. Ciò poteva non essere affatto un problema, se la serie fosse stata gestita bene. Di fatto però…

Andando con ordine, la prima cosa che non mi è assolutamente piaciuta è stata la recitazione. Alcuni, Jennette compresa, erano probabilmente inesperti nel campo fantascientifico e drammatico e questi sono poi anche leggermente migliorati nella seconda stagione. Il vero problema della serie è Adam (Jesse Carere appunto). Prima di aprire Wikipedia ero assolutamente convinta che si trattasse del suo primo ruolo e, quando ho scoperto che non è così, sono rimasta a dir poco sconvolta. Adam di per se potrebbe essere un personaggio molto interessante e con del grande potenziale: migliore amico della protagonista per cui fin da subito mostra di provare qualcosa, è l’unico tra i ragazzi di Pretty Lake che cerca di capire quali siano le cause del virus e come il governo sia collegato a ciò che sta succedendo -sì, si tratta di una di quelle serie in cui dietro a tutto c’è un complotto governativo, ma, come dicevo sopra, la sua caratteristica migliore non è l’originalità. In ogni caso, Adam è interpretato così male da non lasciare assolutamente nulla come personaggio, se non un crescente senso di fastidio nello spettatore, che spesso vorrebbe solo alzarsi e prendere a schiaffi lo schermo dal nervoso. È assolutamente monoespressivo e monotematico, che sia triste, felice o arrabbiato non cambia assolutamente nulla. Quindi, anche quando il suo personaggio nella seconda stagione si evolve diventando quasi l’eroe della situazione, resta comunque un personaggio assolutamente poco credibile e decisamente snervante. Come ha commentato qualcuno su TvTime, Netflix a volte ci ha abituati ad attori che, non brillando per talento, si distinguevano per bellezza, ma qui? Vorrei davvero capire cosa pensavano mentre facevano i casting.

Un’altra cosa poco credibile è tutta la trama e no, non sto parlando del complotto organizzato dal governo. Questi ragazzi e questi bambini (perché sì, a differenza di The Society, che parlava soltanto di un gruppo di adolescenti qui ci sono anche diversi bambini) da un giorno all’altro si ritrovano a perdere tutte le persone che amano e nessuno batte ciglio. Vanno tutti avanti come se non fosse successo nulla, come se non fossero appena morti i loro genitori, i loro fratelli, i loro parenti. Nessuno che piange, nessuno che si dispera, niente di niente. E questo succede anche per altre cose: Wiley subisce un tentativo di stupro nella prima stagione? Dopo due episodi tutti se ne sono scordati e parlano con il suo stupratore senza nessun problema. Mark è un assassino evaso dal carcere che ha anche ucciso un bambino? Nessuno si fa problemi. Il padre di Jason, il bimbo di Wiley, è il padre di Chuck? Nessuno ne parla più dopo mezzo episodio. La sorella di Chuck è morta? Lui dopo dieci minuti lo ha già dimenticato. E loro prendono con così tanta leggerezza la morte dei loro amici che io stessa, da spettatrice, a volte ci ho messo più di una puntata per realizzare che un determinato personaggio fosse morto.

Allo stesso modo è snervante come invece nella seconda stagione abbiano introdotto personaggi rilevanti per la trama come Renee, suo fratello e tutto il loro gruppo per poi fare finta che ci siano sempre stati.

La cosa paradossale è che, per altri aspetti, la serie cerca di essere realistica in linea totalmente opposta a ciò che succede in “The Society”: le scorte di cibo che finiscono, la legge che diventa quella del più forte, dove sopravvive chi è più furbo e pensa prima di tutto a se stesso e personaggi che praticamente sfiorano la follia dopo i traumi, tutte cose più o meno sensate in situazioni del genere.

Si sente comunque un enorme divario tra la prima e la seconda stagione. Nella prima non c’è un personaggio che sia uno che io non abbia avuto voglia di picchiare -bambini esclusi che, oltre ad essere tra i personaggi migliori, sono attori davvero promettenti!

In sei episodi l’unica cosa che erano capaci di fare era minacciarsi con le pistole stile far west e uccidersi a vicenda. Ovviamente l’azione di X causava qualcosa che faceva venire a Y voglia di vendicarsi e così in un loop infinito che è poi stato spezzato, in senso positivo, dall’arrivo di Liam Cullen, uno scienziato che apparentemente conosceva il padre di Adam e che porta con se una cura sperimentale per il virus.

La trama si approfondisce di dettagli: pian piano scopriamo fino a che punto il governo è coinvolto nella città di Pretty Lake, quanto le persone normali sanno dell’accaduto e soprattutto cos’è davvero il virus misterioso.

Tutto sembra anche risolversi per il meglio nell’ultimo episodio, fino a pochi minuti prima della fine: la serie si chiude infatti con un enorme cliffhanger; il virus infatti è stato diffuso dall’azienda farmaceutica che ne ha creato la cura e, con un ultimo sguardo tra Adam e Wiley, la serie si chiude per sempre.

Ufficialmente, Netflix non ha fatto nessuna dichiarazione in proposito; al tempo stesso però nessuno degli attori ha più accennato alla serie per cui, a tre anni dalla messa in onda della seconda stagione, si dà per scontato che non ce ne sarà una terza. Considerando che darei alla serie un 5/10, perché mi è piaciuta moltissimo l’ambientazione (Pretty Lake innevata era davvero meravigliosa!) e in qualche modo penso che i buchi di trama potessero essere superati, la cancellazione della serie non mi fa né caldo né freddo. Se da un lato sono curiosa di sapere come si sarebbero comportati gli autori in una eventuale terza stagione e sono anche convinta che questa sarebbe potuta essere migliore della seconda come la seconda lo era stata della prima, al tempo stesso so che il mondo non è stato privato da chissà quale capolavoro sotto nessun punto di vista.

In conclusione, iniziatela se siete alla ricerca di una serie breve, leggera e senza avere troppe aspettative, utilizzandola magari per staccare la spina da una serie pesante o nell’attesa (ormai breve) che la nuova stagione della vostra serie televisiva cominci.

E voi? Avete visto la serie? E che ne avete pensato? Come sarebbe andata la terza stagione secondo voi? Fatemelo sapere con un commento!

Grazie per aver letto fino a qui❤️

Dal paese delle meraviglie,

Alice