Ciao a tutti e a tutte! Oggi vi parlo de Il tatuatore di Auschwitz, libro scritto nel 2018 da Heather Morris. La scrittrice è stata molto criticata per quest’opera in quanto gli storici reputano che abbia messo un po’ troppa fantasia in un romanzo che dovrebbe essere la trasposizione di una storia vera.

Trama

Il cielo di un grigio sconosciuto incombe sulla fila di donne. Da quel momento non saranno più donne, saranno solo una sequenza inanimata di numeri tatuati sul braccio. Ad Auschwitz, è Lale a essere incaricato di quell’orrendo compito: proprio lui, un ebreo come loro. Giorno dopo giorno Lale lavora a testa bassa per non vedere un dolore così simile al suo finché una volta alza lo sguardo, per un solo istante: è allora che incrocia due occhi che in quel mondo senza colori nascondono un intero arcobaleno. Il suo nome è Gita. Un nome che Lale non potrà più dimenticare. Perché Gita diventa la sua luce in quel buio infinito: racconta poco di lei, come se non essendoci un futuro non avesse senso nemmeno un passato, ma sono le emozioni a parlare per loro. Sono i piccoli momenti rubati a quella assurda quotidianità ad avvicinarli. Dove sono rinchiusi non c’è posto per l’amore. Dove si combatte per un pezzo di pane e per salvare la propria vita, l’amore è un sogno ormai dimenticato. Ma non per Lale e Gita, che sono pronti a tutto per nascondere e proteggere quello che hanno. E quando il destino tenta di separarli, le parole che hanno solo potuto sussurrare restano strozzate in gola. Parole che sognano un domani insieme che a loro sembra precluso. Dovranno lottare per poterle pronunciare di nuovo. Dovranno conservare la speranza per urlarle finalmente in un abbraccio. Senza più morte e dolore intorno. Solo due giovani e la loro voglia di stare insieme. Solo due giovani più forti della malvagità del mondo.

Commento

Come ho già accennato in apertura la scrittrice è stata molto criticata ma, obiettivamente, credo che il libro vada letto per gli orrori che racconta e anche per la meravigliosa storia d’amore che vince la morte e rappresenta la vera luce sul fondo di un tunnel molto ma molto buio. Già dal titolo si capisce di avere in mano un libro sullo sterminio e sfogliando le prime pagine si viene a conoscenza del fatto che la storia narrata è tratta da una storia vera. Quel Lale e quella Gita che animano le pagine del libro sono realmente esistiti e, se avete qualche dubbio, basta digitare su google per scoprire che quegli orrori li hanno vissuti sulla propria pelle.

Lale, Gita e loro figlio

Il messaggio che il libro porta con sé è forte e sprona chiunque a lottare e a non mollare mai. I due protagonisti sono l’esempio perfetto di cosa voglia dire aggrapparsi con le unghie e con i denti alla vita: più volte Lale ha rischiato di morire ma ha lottato ed è riuscito ad avere il suo lieto fine con Gita. Secondo me il libro è adatto un po’ per tutte le fasce d’età, sia per i più anziani, che sono “storicamente” più vicini a quegli anni, sia per i più giovani perché in un mondo nel quale si bada tanto all’aspetto esteriore, scontrarsi con una storia così fa solo riflettere. Perché? Banalmente perché Lale e Gita si sono innamorati in un posto assurdo, un posto architettato come “macchina della morte” che era proprio volto a sterminare ma che, comunque, non è riuscito a togliere del tutto i sentimenti, non è riuscito ad azzerare l’amore, non è riuscito nemmeno a spegnere la gioia di Lale e Gita ogni volta che si vedevano, ben consci del fatto che potesse essere l’ultima. Certo, tanti eventi “fortunati” hanno giocato a loro favore ma, in un mondo di morte, non era scontato nemmeno aprire gli occhi il mattino seguente. Sicuramente ci saranno stati altri casi come il loro che si sono conclusi con la morte, prima ancora di poter celebrare la vita, all’interno di quei campi ma non per questo la storia va sminuita. Lale e Gita hanno trionfato e l’hanno fatto anche per quei milioni di ragazze, ragazzi, uomini, donne e bambini che sono entrati in quei luoghi di sterminio senza sapere a cosa andavano incontro e hanno trovato solo morte e disperazione.
Il libro è veramente bello, la storia scorre fluida e ci sono ben pochi momenti di noia durante la lettura, complice sicuramente il fatto che gli eventi narrati sono reali. Per quanto riguarda le critiche mosse alla scrittrice sono parzialmente d’accordo: alcuni passaggi sono dominati da tantissima fortuna ma, come penso sia noto a tutti, la vita o la morte di un prigioniero dei campi di sterminio dipendeva anche dalla sua fortuna. In ogni caso, secondo me, un parziale riadattamento ci sta perché l’autrice non ha mai affermato di aver scritto la biografia di Lale e, pertanto, chi legge il libro non può aspettarsi di trovare quello che in realtà non è dichiarato. Detto ciò consiglio la lettura del libro sia per la storia d’amore in sé sia, soprattutto, per il filo rosso che collega Lale, Gita e tutto ciò che accade attorno a loro.

E voi avete letto Il tatuatore di Auschwitz? Cosa ne pensate? Fatemi sapere le vostre opinioni nei commenti!
Ilaria

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Ilaria

Sono una studentessa universitaria appassionata di teatro e di recitazione in generale ma anche di tennis.