La settimana sanremese è quasi giunta al termine e di questa sessantanovesima edizione ricorderò ben poco. Tra qualche mese avrò già dimenticato Claudio Bisio che saluta con la mano Bocelli, gli ululati di Achille Lauro e fortunatamente anche le freddure di Claudio Baglioni.

L’empatia della musica

Più di dieci anni fa Simone Cristicchi si presentava a Sanremo con “Ti regalerò una rosa”, una delle più belle canzoni mai scritte nella storia della musica italiana. Si tratta di uno di quei brani che ti si attacca addosso, ti penetra violentemente sotto l’epidermide ed arriva come un pugno diritto allo stomaco.

Ognuno di noi ha quelle tre o quattro canzoni che hanno la capacità di renderci vulnerabili, che quando le si ascolta si ha come l’impressione di essere nudi, indifesi, spogliati di qualsiasi protezione.

Quest’anno Daniele Slivestri si è presentato sull’Ariston con un brano non tanto diverso da quello portato da Cristicchi nel lontano 2007. “Argentovivo”, il titolo della canzone, tratta, infatti, anch’esso di emarginazione, isolamento e fragilità, seppur in maniera diversa. Il brano di Cristicchi sembra quasi accarezzarti. Una carezza, però, che pare essere fatta con una rosa piena di spine. Quello di Silvestri, invece, ti dà un cazzotto in un occhio. Il risultato dunque è lo stesso: i temi trattati ed i modi in cui vengono raccontati fanno entrambi male, ma ciò non cambia il fatto che siano fonte di riflessioni.

Molto probabilmente tra dieci anni mi ricorderò ancora di “Argentovivo” così come ora porto ancora nel cuore “Ti regalerò una rosa”.

“Io, che ero argento vivo”

Il brano, scritto da Silvestri, dal rapper Rancore e da Manuel Agnelli, dà voce ai pensieri di un adolescente di oggi. A parlare è un sedicenne, con un passato da bambino con disturbi dell’attenzione, la cui energia è stata maldestramente sedata.

L’argento vivo altro non è se non il mercurio vivo. Non si può, infatti, tenere ferma una goccia di mercurio: se la si cerca di prendere, essa sfugge scattando da una parte all’altra.

E dunque, lui, che era argento vivo è condannato a vivere in una condizione di passività, a ritrovarsi incarcerato nella società stessa, prigione che corregge e soffoca.

La fuga nel mondo virtuale:

L’adolescente sedato decide perciò di scappare in una realtà, che non è quella reale. Nella tasca porta un cellulare che è definito “specchio di quest’inferno”, attraverso il quale il ragazzino viaggia, vive e mangia.

Sono molti i giovani che si isolano immergendosi in un mondo virtuale, dimenticando i loro sogni e le loro aspirazioni. Si spegne così quella fiamma vitale, che è appunto l’argento vivo che caratterizza ogni adolescente.

Se quest’ultimo si smorza, non c’è un altro mondo reale da mettere in contrapposizione. Rimane solo quello della tecnologia, in cui tuttavia non è necessario essere attivi.

L’adolescente evita i suoi stessi pensieri, che gli girano in testa, decidendo quindi di evitarli. Al contrario di uno schermo, essi non interagiscono se non li si tocca.

L’ex bambino considerato troppo vivace diviene un giovane pieno di rancore, che lo porta a chiudersi in se stesso ed a non comunicare, perché più facile che instaurare contatti con il mondo esterno. Lo stesso mondo, presentatosi come esemplare, che l’aveva etichettato come sbagliato.

Essere ciò che si è o ciò che si dovrebbe essere?

L’adolescenza è un momento cruciale della vita di ognuno di noi e troppo spesso per paura della non accettazione fingiamo di essere quello che non siamo, ci costringiamo a farci piacere cose che non vogliamo e diciamo parole che in realtà non pensiamo.

Fin dall’infanzia c’è qualcuno che ci dice cosa sia giusto e cosa sia sbagliato. Tuttavia la realtà è che da bambini è diverso; ai bambini non importa dell’opinione della gente. Con la pubertà tutto cambia e ci si ritrova dinanzi ad un bivio: essere ciò che si è o ciò che si dovrebbe essere?

L’istinto ci dice che la risposta corretta sia la prima ed è effettivamente così. Ma quanti di noi possono affermare di essere sempre se stessi? Quante volte siamo stati come gli atri volevano che fossimo? Forse troppe. Forse troppo spesso abbiamo permesso agli altri di soffiare sulla nostra fiamma vitale, che a poco a poco si è affievolita.

Ed ecco che l’adolescente della canzone si sente agitato e sbagliato in una società che gli fa pagare per qualcosa che non ha mai fatto, arrivando a pensare che “se c’è un reato commesso là fuori, è stato quello di nascere”.

Qui Alessia, grazie per l’attenzione! Non permettete mai a nessuno di spegnervi!

 

 

 

 

Written by

Alessia

Classe 1999. Studentessa universitaria. Curiosa della vita.