Una linea lunga chilometri e spessa anni. Un solco che attraversa la materia e il tempo, le notti e i giorni, le generazioni e le stesse voci che ne parlano, si inseguono, si accavallano, si contraddicono, si comprimono, si dilatano.

È la frontiera.

[…] La frontiera corre sempre nel mezzo.

Di qua c’è il mondo di prima. Di là c’è quello che deve ancora venire, e che forse non arriverà mai.

È questo uno dei passi che più colpisce de La Frontiera di Alessandro Leogrande, scrittore, giornalista e reporter italiano. In questo libro, difficile da classificare entro un genere letterario ben definito, raccoglie, mettendole nero su bianco, decine di storie che nel corso del suo lavoro da reporter ha avuto la fortuna di poter ascoltare proprio dai diretti interessati: i migranti. Sono loro, infatti, i protagonisti del libro: uomini, donne e bambini che, ad un certo punto della loro vita, decidono di rischiare tutto, senza di fatto possedere alcuna certezza del futuro, ma solamente la piccola speranza di poter vivere una vita degna d’essere vissuta altrove.

Leogrande ci fa compiere con la mente quel viaggio che migliaia e migliaia di persone compiono ogni giorno: ci fa attraversare il Mar Mediterraneo a bordo di un barcone, ci fa fare quello che lui definisce «il grande salto», ci guida per le terre della Libia e dell’Eritrea, ci mostra ciò che accade nelle prigioni del Sinai, ci rende partecipi della tragedia di Lampedusa del 3 ottobre 2013 e di diverse altre. E fa tutto questo affidando il racconto alle voci di chi c’è salito per davvero su un barcone, dopo aver attraversato la Libia o l’Eritrea e aver sborsato migliaia di euro, di chi è davvero rimasto prigioniero e torturato in Sinai, di chi quel 3 ottobre si è salvato, ma l’ha fatto osservando, impotente, centinaia di persone affogare. Ci racconta di vittorie e di sconfitte, di approdi e di naufragi, di chi si salva e di chi annega.

Leggendo queste storie, i primi sentimenti a farsi avanti sono la tristezza, l’angoscia, l’impotenza, ma è chiaro che l’autore non intendere riportare passivamente queste vicende: La Frontiera è, infatti, una forte denuncia sociale verso di noi, noi europei che con le nostre politiche e le nostre leggi consideriamo i migranti, nel migliore dei casi, come semplici viaggiatori, divenuti fin troppi per poter essere ospitati tutti, non rendendoci conto dell’enorme complessità di cause che li ha condotti ad arrivare qui. E Leogrande vuole farci aprire gli occhi verso un mondo, una realtà, a noi di fatto sconosciuta; e quando cominciamo a fidarci delle sue parole, ecco comparire la rabbia e la frustrazione, accompagnate dalla consapevolezza di non poter fare molto, in un mondo corrotto come il nostro, per cambiare le cose.

Il mondo […] si rivela come un universo di violenza ferina. Tuttavia, non è la violenza a sgomentarci. Ma il fatto che, anche quando comprendiamo pienamente le sue leggi, non riusciamo ad arrestarle.

[…] Bisogna farsi viaggiatori per decifrare i motivi che hanno spinto tanti a partire e tanti altri ad andare incontro alla morte.

Ma ancora una volta Leogrande ci sorprende, e lo fa raccontando di Alganesh Fessaha e Mohammed Abu Bilal, attivista dei diritti umani lei e imam salafita lui, il cui scopo principale è quello di salvare i giovani (nella maggior parte dei casi si tratta di minorenni) imprigionati in Sinai, dimostrando che un modo di agire, se si vuole, lo si trova.

È così che io ho interpretato La Frontiera: un racconto di racconti il cui obiettivo è scuotere, far sentire a disagio, provocare una reazione, che sia quella di denuncia, di rifiuto, di insoddisfazione della realtà contemporanea. O per lo meno, è questo quello che il libro ha provocato in me.

Leogrande riesce a fare tutto ciò scrivendo in modo molto semplice e quindi comprensibile; l’autore restituisce in parole emozioni dolorose e delle volte disumane, non sfociando, però, in un linguaggio troppo crudo o violento. L’equilibrio tra parti più coinvolgenti e parti più descrittive viene mantenuto, tranne le poche volte in cui le seconde prevalgono sulle prime.

Al centro della riflessione di Leogrande, però, rimane sempre la frontiera, luogo di mezzo di cui noi italiani facciamo parte, e che una volta attraversata «la terra e il cielo di prima non ci sono più».

E allora gli occhi si sgranano e le bocche si torcono per afferrare le sillabe che compongono la parola da cui tutte le altre discendono.

Essa diventa un luogo dai confini spesso non definiti, difficile da identificare oltre che da raggiungere, ma sempre traguardo di tutti.

È inevitabile che io mi senta di consigliare questo libro che, facendo comprendere le cause e gli effetti di questo grande fenomeno che chiamiamo migrazione, contribuisce a cambiare la prospettiva da cui osserviamo il mondo. Che poi, se ci pensiamo bene, è sempre tutto una questione di prospettive, e spetta a noi scegliere quale adottare; forse, leggendo La Frontiera, la scelta potrebbe diventare più facile da compiere.

 

Grazie di aver letto questo artico, spero vi possa essere utile, e spero anche che aggiungiate La Frontiera alla vostra lista delle prossime letture. Se avete già letto il libro, ma anche se non lo avete fatto, commentate pure con le vostre opinioni al riguardo.

Alla prossima,

Rosy. xo