“Occorrono troppe vite per farne una.”

 

Drusilla Tanzi nacque il 5 aprile 1885. Appassionata studiosa e amica di Italo Svev, come scrittrice si muoveva nel gruppo “Solaria” di Firenze dove conobbe Eugenio Montale, che nel 1927 ospitò a casa sua e con cui andò a convivere nel 1939. Secondo una lettera, Montale impedisce due volte il suicidio di Drusilla, che teme la partenza di Eugenio  per gli Stati Uniti. Tale partenza del poeta in realtà non avverrà mai. La Tanzi sposerà invece Montale il 23 luglio 1962 e morirà l’anno dopo in seguito a complicazioni derivanti da una caduta e dalla conseguente rottura del femore.

Soprannominata “Mosca” dagli amici per via dello spessore degli occhiali che portava a causa di una forte miopia fu oggetto di numerose liriche del poeta soprattutto nell’opera a lei dedicata dopo la sua morte, Xenia. Montale spera di trovare anche un modo di comunicare con la moglie morta, se lei, riavvicinandosi a lui dall’aldilà, riuscirà a dargli cenni della sua fuggevole presenza-segno negli oggetti del reale.

«Mi abituerò a sentirti o a decifrarti
nel ticchettio della telescrivente,
nel volubile fumo dei miei sigari
di Brissago.»

L’amore che sfida la società:

Il loro è un legame che sfida tutte le convenzioni sociali di un’Italia fascista, impegnata nella celebrazione del culto della famiglia e della donna come madre e moglie modello. Montale non era di certo un uomo celebre per essere monogamo e nel ’33 intraprende una relazione con Irma Brandeis, un’italianista americana che si trasformerà nella nuova musa del poeta, alla quale, denominandola Clizia nelle sue opere, dedica la celebre “Ti libero la fronte dai ghiaccioli”. Irma diventa una nuova donna angelo, non solo quindi desiderio ma anche salvezza sia per il poeta che per l’umanità. Per Drusilla sembra la fine. Sembra essere eclissata da una figura eccezionale come quella di Clizia, il cui nome richiama il culto del Sole e quindi della cultura; Montale è abbagliato da questa donna dagli occhi color ghiaccio, portatrice di valori che in quel periodo a detta del poeta rappresentavano l’unico modo per (r)esistere in una tale realtà politica e sociale. Montale decanta tante, troppe donne nel suo lungo itinerario poetico, ma queste sono tutte donne dell’Occasione, dell’Eccezionalità, appunto. Mosca non abbandona il suo amato, sopporta per amore di qualcosa di più grande quel rapporto semi-clandestino con la Brandeis ed ha ragione: Montale non la lascerà mai. È nel suo atto finale che il rapporto sublima a tal punto che diventa arte, quando Montale, resosi conto della perdita affettiva immensa che aveva subito, le fa un ultimo grande dono, gli “Xenia , che richiamano proprio i doni soliti fare agli ospiti nell’antica Grecia, nella quale la celebra non come un angelo, bensì come l’essenza della sua stessa vita, ossia la poesia, e le attribuisce l’onore più estremo che si possa concedere a chi ha vissuto l’amore per il suo compagno in modo così estremo come Mosca: la detenzione del suo vero occhio poetico e la consapevolezza che, come scrive nella sua poesia più famosa “Ho sceso dandoti il braccio”, senza di lei “è il vuoto ad ogni gradino” della scala della vita. Ecco da dove nasce il genio, l’arte, l’eternità, da quelle anime che ci sconvolgono facendoci apprezzare solo con la loro assenza la loro necessità. E Mosca e Montale lo sapevano.

Drusilla Tanzi ed Eugenio Montale

Ho sceso dandoti il braccio…

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.

In un affettuoso e nostalgico colloquio con Drusilla, qui Montale ricorda la vita trascorsa insieme a lei dal punto di vista di «chi resta», per usare le sue stesse parole usate ne La casa dei doganieri. L’attacco del poema è affidato ad una iperbole: almeno un milione di scale, che intende sottolineare da una parte l’abitudinarietà del gesto di scendere le scale insieme, e dall’altro il ricordo nostalgico della vita coniugale. La vita del poeta prosegue, malgrado la sensazione di vuoto e solitudine; grazie al lutto, tuttavia, Montale ha finalmente compreso la futilità delle incombenze e delle urgenze della vita quotidiana, alle quali non attribuisce più importanza, a differenza di tutti coloro che credono che la realtà sia solamente quella visibile. Al contrario, Drusilla era ben consapevole che la realtà non è “quella che si vede”, ma un mistero che va oltre le apparenze, paradossalmente proprio grazie alla sua miopia: «sapevo che di noi due / le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate, / erano le tue». Sono questi versi a rivelare il vero ruolo di Mosca che, pur essendo quasi cieca, era ugualmente guida del poeta nella sua esistenza: se Montale aiutava la moglie a scendere le scale, Drusilla aiutò il marito a scorgere il senso profondo delle cose, rendendolo al di sopra delle trappole e degli scorni di chi ne è invece superficialmente e tristemente inconsapevole.

Montale traccia con tenerezza la figura della moglie in una dimensione di quotidianità. Egli offriva alla moglie il braccio per scendere le scale, cioè metaforicamente condivideva con lei le difficoltà quotidiane nel viaggio della vita mentre ora, rimasto solo, ne sente terribilmente la mancanza, prova un grande senso di vuoto perché ha perduto un punto di riferimento fondamentale della sua vita. Il gesto del “dare il braccio” alla moglie, da parte del poeta, presuppone che sia lei a essere più bisognosa di una guida, di un aiuto, per la sua forte miopia. Tuttavia, nel percorso della vita è il poeta a sentire il supporto indispensabile della sua profonda capacità di vedere, dietro le apparenze.Il percorso della vita compiuto assieme alla moglie è stato lungo ma, ora che lei è morta, il poeta lo sente come troppo breve.

L’immagine dello “scendere le scale”, oltre che nel suo senso proprio, va intesa ovviamente come metafora di un fatale, progressivo avvicinarsi alla vecchiaia e alla morte. Adesso, senza la fedele compagna, ad ogni piccolo passo (“gradino“) il poeta si sente sprofondare nel vuoto.

 

 

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-Aurora

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Aurora

Testa tra le nuvole dal 1998.
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