“La caduta dello Zentir”, il primo volume della saga “I rinnegati di Arest”, è il libro d’esordio di Adrian Rednic, meglio conosciuto su YouTube come “Caleel“.

La caduta dello Zentir

In una notte di Luglio lo Zentir, un potente artefatto magico, viene misteriosamente distrutto. L’esplosione avrà coseguenze devastanti sia per la Terra che per Liiandris (il mondo magico), infatti i frammenti dello Zentir cadendo sulla Terra colpiranno quattro giovani ignari di quello che sta succedendo: Nathan, Gwen, Sam e John. I ragazzi scopriranno di possedere inaspettati poteri e verranno in contatto con altre creature magiche, che cambieranno per sempre le loro vite.

Di urban fantasy ne esistono un’infinità, è quindi molto difficile essere originali, ma Adrian ci riesce creando un romanzo avvincente che trova il suo punto di forza nei personaggi descritti in maniera estremamente realistica. I quattro protagonisti non sono degli eroi e non hanno nulla di particolarmente speciale, proprio come ognuno di noi, sono solo stati colpiti per caso dai frammenti dello Zentir. Questo spinge i lettori ad immedesimarsi nei quattro ragazzi che reagiscono in maniera naturale agli eventi che accadono attorno a loro. In un primo momento sono presi dall’eccitazione della magia ma, non appena scoprono tutti i rischi del mondo magico, vorrebbero solo tornare alla normalità della propria vita. I protagonisti hanno paura, provano a scappare e il libro si trasforma in una corsa per la sopravvivenza. Dall’altra parte però qualcosa dentro ognuno di loro li spinge a cercare scoprire di più sul mondo magico e la curiosità dei ragazzi diventa il motore di tutto.

Un libro pieno di ironia che però riesce anche a trattare argomenti più seri, uno spiccato di fantasia e creatività che si unisce alla storia. “La caduta dello Zentir” ci porta all’interno di un mondo che non conoscevamo, ci fa ridere ed emozionare. I cosiddetti “lunghi spiegoni” in realtà non sono pesanti e sono necessari per farci comprendere appieno questa nuova realtà, infatti la narrazione è così travolgente che nonostante le sue 669 pagine si legge velocemente. Niente male per uno scrittore così giovane! Ma andiamo a conoscerlo meglio…

Intervista ad Adrian:

Fare lo scrittore è da sempre stata la tua aspirazione o questo sogno è nato in un momento preciso?

Ho cominciato a leggere fin da quando ne sono stato finalmente capace, a 6 anni. I libri sono stati una parte fondamentale della mia formazione durante l’infanzia e anche l’adolescenza, ed è stato nei primi anni del liceo che ho cominciato a sognare di intraprendere la carriera da scrittore. Tuttavia, ero già abbastanza grande da capire che fosse una scelta non propriamente semplice e immediata da conseguire, quindi in realtà allontanai questa possibilità per dedicarmi a qualcosa di più “concreto”. Fu solo un paio di anni fa che decisi di provare effettivamente ad andare in questa direzione e vedere come le cose si sviluppano, ed è stata la scelta migliore che potessi fare.

Hai mai avuto dei periodi in cui non riuscivi a scrivere? Se sí, come li hai superati?

Certo, credo che capitino ad ogni scrittore quei giorni in cui per quanto ci si posso sforzare nulla sembra riuscire ad uscire dalla punta della penna. E a volte questa cosa può propagarsi anche per giorni e settimane. Io personalmente non ho mai vissuto la cosa con particolare ansia come molti fanno: semplicemente aspettavo che passasse. Prima o poi ti svegli alle 4 del mattino con quel bisogno assurdo di mettere nero su bianco l’ultima idea che ti è venuta in mente, e da lì tutto riprende in maniera quanto più naturale.

Sembri una persona molto sicura di sè e piena di autostima, ma mentre scrivevi hai mai avuto “paura” che il libro potesse non piacere o delle critiche che avresti potuto ricevere?

Sono una persona estremamente sicura di se stessa nella vita di tutti i giorni, ma ovviamente i miei dubbi li ho sempre, così come tutti. Ma definirla una “paura” credo sia sbagliato: alla fine, sarebbe assurdo pretendere che la propria storia piaccia a tutti e sia libera da alcuna critica. Basta non ritrovarsi a pensare di ricevere SOLO quelle. Così come sapevo che ad alcuni il libro non sarebbe piaciuto, sapevo che altri l’avrebbero adorato. Ed era sui secondi che mi concentravo maggiormente.

“La caduta dello Zentir” ha una trama abbastanza ingarbugliata e in particolare il capitolo “Il racconto di Montgomery” fa pensare che ci sia voluto davvero tanto tempo per scriverlo, ma qual è stata la parte più difficile da pensare e da scrivere?   

In realtà questo romanzo è stato relativamente semplice da scrivere essendo il primo. La storia era nuova e i personaggi vivevano in un contesto urbano molto semplice da descrivere e definire. Le parti più difficili sono state ovviamente quelle in cui dovevo parlare della storia del mondo magico ed intrecciarla a quella del mondo “reale”. Tu hai citato il capitolo del racconto di Montgomery, che è stato per l’appunto quello che mi ha dato maggiori grattacapi.

Da dove è nata l’idea della storia per questa saga?

È molto curioso perché riesco a tracciare esattamente qual è stata la scintilla che ha dato il via al tutto. Nell’estate del 2016 stavo messaggiando con una mia amica e lei mi ha detto che le piacesse molto la mitologia egizia. A me è bastato quello. Da lì è partito quel “mhhh, chissà come sarebbe se gli dei e le creature mitologiche in realtà fossero sempre esiste?” che ha dato il via a tutto il resto.

Come riesci a trovare quella famosa “ispirazione” di cui cantanti, pittori e scrittori parlano?

A dire il vero io non mi sono mai ritrovato a pieno nel concetto di “ispirazione”, per me è più una “voglia di scrivere e creare”. Dico questo perché l’ispirazione è un concetto molto astratto che sembra venire e andare. La voglia di scrivere è diversa, perché quando mi metto davanti al computer o alla mia fidata lavagna ricoperta di appunti e schemi, semplicemente apro il rubinetto della fantasia e, beh, comincio a creare.

Quando devi scrivere un capitolo sai già esattamente cosa scrivere o le idee ti vengono man mano che le metti su carta?                                                   

Diciamo che è un mix tra le due. Come dico sempre, so bene che la storia dovrà andare dal punto A al punto B, ma come ci arriverà e cosa succederà nel mezzo si crea in corso d’opera.

I tuoi personaggi sono completamente frutto della tua fantasia o sono ispirati a qualcuno? C’è un personaggio nel quale ti rivedi particolarmente?

In questo primo libro non c’è nessun personaggio che sia stato costruito sopra a qualcuno che conosco di persona. Ma i quattro ragazzi sono tutti uno spaccato della mia personalità e dei miei modi di fare, quindi tecnicamente mi rivedo in tutti.

A me piacciono molto i backstage, ovvero scoprire cosa c’è dietro la stesura di un libro, perché molti credono che il libro che sia semplicemente uscito dal computer dello scrittore esattamente come lo vedono. C’è stata una parte o un personaggio che avevi pensato completamente diversa/o e che poi hai stravolto?

Non c’è nessun personaggio che abbia stravolto o cambiato in corso d’opera perché una volta “partito” con la scrittura definitiva ormai erano ben formati nella mia mente. Ci sono stati però dei cambi nelle prime stesure, mentre ancora li stavo definendo. Per esempio, in una delle primissime versioni del capitolo 1, Sam era incredibilmente sociale ed estroverso. In quella versione Nathan e John si erano appena trasferiti in città, e Sam da bravo nuovo vicino attaccava subito bottone e li trascinava con lui fino alla biblioteca. Adesso l’idea del “vero” Sam timido ed introverso che fa una cosa del genere mi fa molto ridere.

Cosa dobbiamo aspettarci dal prossimo libro, puoi farci qualche spoiler?

Tante risposte ma anche tante nuove domande. Nel secondo volume ho intenzione di andare a mostrare un po’ di più il mondo magico e a spiegare come funziona la magia, argomento che per ora è stato toccato molto superficialmente dato che i personaggi la stavano ancora scoprendo. Ora arriverà la fase di “addestramento” per così dire.

Che consiglio daresti ad un altro aspirante scrittore?

Il consiglio più banale che mi sento in dovere di dare, ma anche il più importante, è scrivere. E scrivere tanto. La scrittura, come ogni forma d’arte creativa, richiede allenamento. Moltissimi fanno il grande sbaglio di partire subito con l’idea di scrivere un lungo romanzo, senza aver mai preso la penna in mano prima d’allora. Niente di più sbagliato: bisogna prima familiarizzare con se stessi e con il proprio metodo di scrittura. Si deve cominciare con cose più semplici, racconti brevi, aneddoti, scenette autoconclusive e così via. Poi, una volta raggiunta una certa dimestichezza, si può passare a qualcosa di più “grande”.

 

E voi avete letto “La caduta dello Zentir”?

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Veronica

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