La storia del Mostro di Firenze è insita nella memoria di tutti coloro che hanno vissuto il periodo della sua attività tra la fine degli anni ’60 e la metà degli anni ’80.

Una vicenda lunga 30 anni

Potremmo tranquillamente definire il Mostro di Firenze come una delle più cupe e macabre parentesi criminose della nostra nazione non solo per efferatezza degli omicidi ma soprattutto per il modus operandi.

Ripercorrere l’intera vicenda nei dettagli sarebbe estremamente laborioso, perciò per quanto concerne i fatti clicca qui.

La Teoria del Clan dei Sardi

La pista sarda si è fatta strada tra le teorie possibili per spiegare l’identità del Mostro grazie ad un ritrovamento presso il Tribunale di Perugia. Era stato infatti suggerito agli inquirenti che i bossoli della pistola utilizzata per i delitti dal ’71 in poi fossero gli stessi di quella usata nel 1968.

La pistola, una Beretta calibro 22, fu utilizzata, presumibilmente, da Stefano Mele (immigrato sardo) per uccidere la moglie e l’amante; tuttavia sono diverse le voci che affermano diversamente. Molti sostengono che a sparare non fu Mele bensì Francesco Vinci, altro amante della donna, estremamente geloso della stessa. Altri ritengono che Mele abbia solo ordinato l’omicidio che, però, sia stato eseguito da ignoti.

Chiusa questa parentesi riguardo il singolo omicidio del ’68, concentriamoci su cosa collega gli immigrati sardi all’intera vicenda del Mostro.

La risposta è semplice: la pistola! La pistola Beretta calibro 22 ha sparato in tutti gli omicidi del Mostro. Stessa pistola, stessi bossoli, stessi killer diremmo, no? Eppure sia Stefano Mele, che Francesco Vinci si trovavano in carcere al momento dei vari delitti del Mostro. Quindi, si presume, che altri conoscenti dei due, si fossero impossessati dell’arma e avessero iniziato la scia di delitti contro le giovani coppie.

Questa teoria, seppur avvalorata da prove indiziarie, è stata ben presto scartata dagli inquirenti. Il collegamento tra i sardi e gli altri delitti era flebile e non erano, al tempo, state trovate tracce di altri soggetti coinvolti. Ragion per cui, la pista sarda rimane una delle varie teorie deboli sulla vicenda del Mostro di Firenze.

Pietro Pacciani e i “Compagni di Merende”

Pietro Pacciani fu iscritto nel registro degli indagati nel 1991 quando gli inquirenti trovarono vari collegamenti tra “Il Vampa” e i delitti del Mostro. Tra questi elementi ritroviamo alcuni oggetti appartenuti alle vittime degli omicidi, dei bossoli ritrovati nel suo giardino ed ovviamente l’indole dello stesso Pacciani. Il Pacciani, amava definirsi un lavoratore della terra agricola e cercava di dare di se l’immagine dell’uomo buono e semplice. Tuttavia, in paese, tutti sapevano che non era così; il Vampa non era un soprannome scelto casualmente, il Pacciani era violento e sessualmente perverso.

Cosa c’entra quindi Pietro Pacciani con il Mostro di Firenze? Ebbene, fu accusato nel 1993 di aver commesso 4 dei 7 duplici omicidi in quanto gli inquirenti erano convinti che egli uccideva per ricordare da “vincitore” il primo omicidio che commise nel 1951. In quell’anno il Pacciani sorprese la fidanzata dell’epoca con un altro uomo e accecato dalla rabbia per aver visto il seno sinistro della donna scoperto, uccise a coltellate l’amante. Per quel delitto Pacciani fu condannato a 13 anni di carcere, ma ciò su cui ci dobbiamo soffermare, è un piccolo ma fondamentale particolare: il seno sinistro. Il seno sinistro è oggetto di asportazione in due dei 7 duplici omicidi. É questo il collegamento chiave.

Nel 1994 si celebra il processo di primo grado a carico di Pietro Pacciani che viene condannato all’ergastolo per aver compiuto 14 sei 16 omicidi per cui era imputato. Al processo d’appello, nel 1996, Pacciani, sotto gli occhi increduli del padre di una delle vittime, viene assolto per non aver commesso il fatto.  Nel dicembre dello stesso anno la Cassazione annulla la sentenza di assoluzione e ordina un nuovo processo; processo che non verrà mai celebrato a causa della morte di Pacciani nel 1998. Morte che secondo gli inquirenti sembra cagionata e non naturale.

I Compagni di Merende: Mario Vanni e Giancarlo Lotti

Mario Vanni fu condannato all’ergastolo con l’accusa di concorso in omicidio con Pietro Pacciani. Nel 2000 la condanna per 4 degli 8 duplici omicidi fu confermata dalla Corte di Cassazione. Vanni morì all’età di 81 anni. Mario Vanni fu l’accidentale inventore dell’espressione “compagni di merende” in quanto, durante il processo, alla domanda “Che lavoro fa?”, egli rispose “Io sono stato a fa’ delle merende co’ i’ Pacciani no?”.

Giancarlo Lotti fu uno dei personaggi chiave: l’unico a confessare interamente le dinamiche dei duplici omicidi del 1982, 1983, 1984 e 1985. Il Lotti fungeva da palo al Vanni e al Pacciani che erano gli esecutori materiali. Va ricordato, però, che alla confessione il Lotti fu indotto dopo ripetuti interrogatori ed egli stesso credeva che con l’autoaccusa avrebbe usufruito dei benefici come collaboratore di giustizia. Così non fu, venne infatti condannato a 26 anni di carcere e morì a 61 anni per un tumore al fegato.

Sembrerebbe fortemente ipotizzabile, quindi, che gli autori dei delitti del Mostro di Firenze furono effettivamente i Compagni di Merende. In realtà furono proprio le condanne di questi 3 personaggi a portare le indagini più a fondo.

La Teoria del Secondo Livello

Sono vari i riscontri che portano a riflettere su dei presunti mandanti degli omicidi. Gli strani movimenti di liquidità sui conti di Pacciani e Vanni lasciano presagire che qualcuno li pagasse per uccidere. La domanda è, perché pagare qualcuno per uccidere? La risposta è presto fatta, per ottenere i “feticci” che venivano asportati alle donne.

Questi feticci, in particolare seni sinistri e pubi, si ritiene venissero utilizzati per messe sataniche e ciò è avvalorato anche dalle frequentazioni che il Vanni e il Pacciani tenevano duranti gli anni degli omicidi. Infatti si ritiene che le parti escisse alle donne venissero richieste da una setta satanica operante in quel periodo a Firenze e di cui facevano apparentemente parte anche il Vampa e Torsolo (soprannome di Vanni).

Inoltre, il Lotti in varie occasioni, confessando, si è ritrovato a nominare un certo “dottore” al quale i feticci venivano consegnati. Nulla è però certo riguardo l’identità di quest’ultimo.

Ipotesi alternative

La prima delle ipotesi alternative al decorso giudiziario della vicenda è quella legata al “killer in divisa“. Il killer in divisa dovrebbe essere un uomo interno alle indagini, capace di anticipare e monitorare le mosse degli inquirenti, affetto da una patologia sessuale che lo porta a uccidere per ricavare piacere erotico.

Secondo il noto criminologo Francesco Bruno, invece, il Mostro di Firenze è un uomo solitario, mai individuato, con un QI superiore alla media e trascinato da intenti religiosi.

Per completezza cito anche l’Ipotesi del Killer dello Zodiaco. Il c.d. Killer dello Zodiaco operò negli Stati Uniti d’America tra il 1968 e 1969; si ritiene che l’omicida, di cui non si conosce l’identità, si sia trasferito in Italia, nelle campagne fiorentine, nel 1974. Quest’uomo è stato identificato (erroneamente) nella persona di Giuseppe “Joe” Bevilacqua, supertestimone nel processo contro Pacciani, in quanto corrispondeva al profilo fornito dalla FBI e risiedeva a pochi metri da dove si consumò l’ultimo duplice omicidio.

Conclusioni

In conclusione, a distanza di 52 anni dal primo duplice omicidio, abbiamo avuto 3 condanne, un’assoluzione annullata, un processo mai celebrato, infiniti indizi e altrettante prove ma siamo ancora senza un volto certo da attribuire al Mostro di Firenze. Forse non sapremo mai chi ha effettivamente sparato, se qualcuno pagava per farlo, se c’era effettivamente un movente organico, quello che è certo è che chi ha agito lo ha fatto nell’ombra. Ritengo, quindi, di dover affermare che alla luce di tutti i più recenti sviluppi della vicenda, il Mostro di Firenze resterà il più grande mistero della storia italiana del XX secolo.