“Si usano gli specchi per guardarsi il viso, e si usa l’arte per guardarsi l’anima.”

Vorrei dedicare questo articolo alla mia mamma, che ha trasformato un sogno in realtà e mi sostiene sempre.

 

A gennaio del 2017, dopo anni e anni di rotture di scatole a mia mamma, finalmente sono riuscita a salire su un aereo direzione Londra. Questa esperienza mi ha cambiato la vita, sia perchè mi sono innamorata alla follia di questa città, sia perchè mi è successo qualcosa di veramente strano. Avete mai sentito parlare della Sindrome di Stendhal?

La sindrome di Stendhal, detta anche sindrome di Firenze, è una affezione psicosomatica osservabile nei soggetti messi al cospetto di opere d’arte di straordinaria bellezza, specialmente se esse sono compresse in spazi limitati. Il nome della sindrome si deve allo scrittore francese Stendhal. Fu proprio lui a descrivere nell’opera “Roma, Napoli e Firenze” scritta nel 1817, gli effetti di questa patologia psicosomatica, sperimentata in prima persona. Stendhal in effetti racconta che, durante una visita alla Basilica di Santa Croce a Firenze, fu colto da una crisi che lo costrinse a guadagnare l’uscita dell’edificio al fine di risollevarsi dalla reazione vertiginosa che il luogo d’arte scatenò nel suo animo. La Bellezza e l’opera d’arte sono in grado di colpire gli stati profondi della mente del fruitore e di far ritornare a galla situazioni e strutture che normalmente sono rimosse. La maggior parte dei turisti manifestano attacchi di panico, alcuni presentano disturbi del contenuto e della forma del pensiero con intuizioni e percezioni deliranti associate a disturbi delle senso/percezioni con allucinazioni uditive, altri ancora percepiscono fenomeni illusionali e cenestofrenie; altri presentano disturbi affettivi, con umore orientato in senso depressivo con contenuti olotimici di colpa e di rovina o, viceversa, in senso maniacale con euforia e manifestazioni di estasi. Altri ancora manifestano sintomi riferibili agli attuali criteri diagnostici per il disturbo di panico, con crisi acute di ansia libera o situazionale; ed infine, alcuni, oltre ad un senso di profondo turbamento, percepiscono la città incombente, quasi nemica, come se si sentisse perseguitato non già da un’entità, ma dalla città stessa.

La mia visita alla National Gallery:

Fino da quando facevo le medie e studiavo storia dell’arte, la corrente artistica che mi ha sempre affascinato di più è stata l’Impressionismo. Mi ricordo che la mia prof di arte era fissata col fatto che sapessimo alla perfezione ogni cosa, era una perfezionista. All’epoca la odiavo a morte, oggi le sono grata per avermi fatto scoprire certe bellezze. Penso che ogni appassionato d’arte abbia il proprio “idolo”, il mio è e sempre sarà Van Gogh. Non solo per il suo modo di dipingere, ma anche per la vita travagliata che ha avuto. Perchè se c’è una cosa che la prof NC mi ripeteva sempre alle medie è che chi osserva un’opera deve sapere anche cosa provava l’artista mentre la creava. Forse è proprio questo che mi permette di amare sia le opere che la vita di Van Gogh, il fatto che dopo anni di studio (che ancora non sono finiti) ormai io riesca quasi a immedesimarmi in lui.

Ma torniamo al mio viaggio a Londra. Dopo essere atterrata, aver raggiunto la zona Piccadilly dove si trovava l’hotel in cui soggiornavo, dopo aver obbligato mia mamma a farmi mille foto con ogni cabina telefonica che incrociavamo e a prenderci un caffè allo Starbucks in zona, era finalmente arrivato il momento di fare un piano d’azione su dove andare e cosa vedere. La mia regola è: non si va a visitare una città senza vedere nemmeno un museo. E quale museo sarebbe stato più adatto a una fanatica di Van Gogh come me? La National Gallery a Trafalgar Square, la quale, contando più di duemila opere esposte, ha il punto di forza nel possedere almeno un’opera di praticamente qualsiasi grande maestro europeo, dal medioevo al post-impressionismo, con una panoramica completa negli episodi salienti delle scuole italiana, fiamminga, olandese, spagnola, francese e, naturalmente, inglese.

Ed è lì che tutte le emozioni che non avevo mai provato sono esplose.

I Girasoli, Vincent Van Gogh, 1888:

Foto dei girasoli di Van Gogh scattata durante il mio viaggio

 

Appena giunta nella sala in cui erano esposti i girasoli di Van Gogh, ricordo di aver aspettato qualche minuto, in modo che un pò di persone si spostassero. Mi siedo lì davanti, inizio ad ammirare il dipinto e inizio a sentirmi strana. Tachicardia, lacrime agli occhi, tremolio alle mani. Avevo davanti agli occhi quell’opera meravigliosa che avevo visto solo nel poster incorniciato in camera mia e suoi libri di scuola e il mio corpo non sapeva come reagire. Probabilmente se doveste chiedere a mia mamma, lei non si sarà accorda di niente. Ma io ero lì, incapace di capire come qualcuno fosse stato in grado di dipingere qualcosa di così bello e come dopo tutti questi anni, quella tela incorniciata in un museo potesse suscitarmi tante emozioni contrastanti nonostante averla studiata e ristudiata. Di opere d’arte ne avevo viste parecchie, soprattutto in Italia, ma quel singolo quadro mi stava mangiando l’anima.

Ad un certo punto la mia mente si era spenta: tutte le persone intorno a me erano sparite, nessun rumore, nessuna distrazione. Sentivo solo il mio battito cardiaco accelerato e sotto i miei occhi quei girasoli hanno iniziato a muoversi come una gif. La cosa che mi ha riportata alla realtà è stato il tocco e la voce di mia mamma che mi ha detto “Auri, andiamo abbiamo ancora mezzo museo da vedere.”

Quando siamo uscite dal museo era ormai il tramonto: il freddo di gennaio mi entrò nelle ossa e solo a quel punto mi ripresi da quello shock.

I giorni successivi il viaggio proseguì, abbiamo visto tante cose ma i girasoli, quell’immagine, quelle sensazioni mi restarono impresse.

 

E a voi è mai capitato? Se sì fatemelo sapere nei commenti qui sotto, sono curiosa.

with love

-Aurora

Written by

Aurora

Testa tra le nuvole dal 1998.
Amo la letteratura, l'arte, le candele profumate e le polpette svedesi dell'Ikea