Qualche tempo fa mi è capitato di vedere un film del 92′, diretto dal regista Spike Lee, in cui racconta la storia di rivalsa di quello che è stato uno dei più celebri pensatori del ventesimo secolo, ovvero Malcolm X.

Una vita difficile:

Nato in Nebraska il 19 maggio del 1925, perse suo padre da piccolo, dopo che quest’ultimo fu assassinato dalla cosiddetta “supremazia bianca”, soprannominata paradossalmente “Black Legion”. In seguito alla morte di suo marito, la madre di Malcolm, iniziò a soffrire di crolli emotivi e fu perciò rinchiusa in un manicomio.

Nonostante i buoni voti, il giovane decise di abbandonare la scuola a causa di un insegnante, che definì il suo sogno di fare l’avvocato come “un obiettivo irrealistico per un negro”.

All’età di vent’anni fu condannato a dieci anni di galera per violazione di domicilio e fu proprio in carcere che conobbe la Nation of Islam, setta islamica, la cui tesi centrale affermava che tutti gli schiavi africani, prima di essere catturati, sarebbero stati musulmani e quindi avrebbero dovuto riconvertirsi all’Islam.

Dopo un viaggio in Egitto ed in Arabia Saudita, arrivò a concepire l’Islam come una religione capace di abbattere qualsiasi barriera razziale, abbandonando la NOI e proclamando la collaborazione tra i neri ed i fratelli bianchi.

Il 21 febbraio del 1965 fu assassinato durante un discorso pubblico, a Manhattan, all’età di soli 39 anni.

Il nome:

Dal 1950 il leader iniziò a firmarsi come “Malcolm X”. Il suo cognome era in realtà Little, questo però era stato dati ai suoi antenati schiavi dai loro padroni. La scelta di “X” volle rappresentare il suo rifiuto di accettare il suo cognome, che lo legava ai padroni di un tempo.

“By any means necessary”:

Ad avermi colpito, però, non è stata solo la sua storia, ma anche un discorso, forse il più celebre, tenuto al meeting della fondazione dell’organizzazione per l’Unità Afro-Americana il 28 giugno 1964, che può riassumersi in un unico concetto, il quale è alla base di tutto il suo pensiero ideologico e cioè quello del “By any means necessary”, che tradotto significa “Con ogni mezzo necessario”. Infatti, durante il dibattito Malcolm incitava la folla a combattere con qualunque mezzo a disposizione per perseguire un determinato fine, che in questo caso era la parità dei diritti umani.

Se volessimo, in un certo senso, banalizzare la sua dottrina filosofica, otterremmo l’espressione, troppo spesso abusata, del “fine giustifica i mezzi”.

Quest’ultima però tende a tollerare la diffusa attitudine a non rispettare le regole, a farsi largo e spazio in ogni modo ed ad ogni costo. Ciò più dell’esasperato individualismo e della competizione, è stato ed è, purtroppo tuttora, il male profondo della nostra società.

Ma questo è, in effetti, il risultato di un sistema che ha ignorato e che in larga parte, ancora oggi, ignora i meriti e privilegia, ad ogni livello, nella selezione delle sue classi dirigenti, locale e nazionale, le logiche di appartenenza ai risultati ed alla capacità di raggiungerli.

Viviamo dunque in una società, che ci ha spinti a credere che l’unico modo per emergere e dare senso alla propria vita fosse battersi sempre contro tutti e tutto, schiacciando i più fragili. Una società che oggi sta facendo i conti con i risultati di quest’egoismo assoluto, che dopo aver cercato di cancellare ogni forma di solidarietà e di cooperazione, si rende conto di non essere più in grado di andare avanti. Perché coloro che si sono persi per strada sono troppi ed adesso chiedono il conto di quell’esclusione ed anche chi sembra avercela fatta, paga poi a livello esistenziale del proprio successo. Nella vita nessuno può avere tutto ed essere tutto.

Questo Malcolm X lo sapeva bene. Per tutta la sua vita ha vestito i panni di escluso in un’America intollerante e razzista e per quanto potesse essere sbagliato il suo pensiero, incentrato per lo più sulla violenza, va comunque contestualizzato. Il “By any means necessary” è quindi un urlo di aiuto, una richiesta diretta allo Stato, che ha provato a spezzargli le ali ed a tappargli la bocca, e che ancora adesso volta le spalle a chi ne ha più bisogno.

Qui Alessia Scrive, grazie per l’attenzione!

 

Written by

Alessia

Classe 1999. Studentessa universitaria. Curiosa della vita.