Differenze generazionali

Essere un millennial significa vivere in un mondo moderno, avere a propria disposizione tecnologie avanzate, capi di abbigliamento all’ultima moda, viaggiare con tutta la comodità possibile e avere con sé, sempre, quel maledettissimo cellulare che vivrà nelle tasche dei jeans per un anno o poco più. E poi? Poi verrà rimpiazzato dal nuovo modello quasi identico al precedente… Come si può, infatti,  rinunciare all’impronta digitale, all’wi-charge, al face ID e a quella magnifica tecnologia di pressione sullo schermo che attiva più funzionalità? Ovviamente è impossibile! Si finisce così per dimenticare le condizioni di vita delle precedenti generazioni, fino al fatidico momento in cui si sentirà dalla bocca di un ultra cinquantenne: “Ai miei tempi…”. E via così con discorsi lunghissimi su ciò che ha significato vivere gli anni del dopoguerra e critiche ai giovani che stanno “bruciando” la loro vita perché preferiscono il mondo virtuale alla realtà.

E’ questa la piega man mano presa dalla società in seguito alla seconda rivoluzione industriale. Il processo, iniziato con il diffondersi delle fabbriche e aziende di produzione, si è sviluppato negli ultimi due secoli portando la società odierna a basarsi sempre più sul consumismo. E’ possibile notare tali cambiamenti prendendo in considerazione, per esempio, l’automobile. Alla nascita di tale strumento di trasporto, i problemi di manodopera e la scarsa richiesta ne hanno frenato la produzione. Sul finire dell’800, durante l’età giolittiana, nacque a Torino la FIAT ( fabbrica italiana automobilistica di Torino ): questo fu per gli italiani un grande passo, che oggi si rispecchia nella continua compravendita di macchine, nuove e usate.

Abitudini “moderne”

Nel corso degli anni sono state create fibre tessili, decine di tipi diversi di plastiche, coloranti alimentari, bibite ai gusti più disparati, farmaci aventi tutti lo stesso principio attivo ecc. La continua produzione porta però al continuo consumo. Un consumo di prodotti uguali, ma con diversi nomi e spacciati per rivoluzionari. E in tutto ciò il consumatore sembra ignorare tali strategie di mercato e si lascia incantare dalle pubblicità. L’importante è, ormai, comprare; non importa cosa, non importa il perché: l’importante è farlo. Risulta essere, questa, una ricerca disperata di dimostrare la propria posizione sociale, lo stato di libertà e benessere quasi fittizio, come afferma il filosofo Galimberti. Si ricade quindi in un processo continuo per cui si compra non solo il necessario, ma anche ciò che più affascina e si desidera.

Morale della favola?

Il consumismo è un vizio? Il consumismo è un modo di vivere una realtà che, attraverso la produzione, suscita il desiderio. E’ come aver finito il pranzo di Natale e avere davanti una fetta di torta: di certo non è indispensabile per la nostra sopravvivenza, ma in cuor nostro, per un attimo, contempliamo l’idea di chiederne addirittura due.

Comprare ciò che più si desidera può rendere, per alcuni versi, la vita più facile. Può forse regalarci un attimo di benessere e tranquillità. Forse lo si fa per questo: perché in una realtà arida e priva di virtù ( Leopardi ) nessuno disdegna un briciolo di felicità.

Bisogna però ricordare anche che in “un mondo da buttar via” ( Galimberti ), in cui tutto è usa e getta, per la felicità e il benessere si deve pensare anche al bene del nostro pianeta che a causa nostra sta soffrendo fin troppo.

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