L’empatia è, nel nostro immaginario comune, una forza benefica e positiva. Ma è davvero così? Paul Bloom nel suo saggio “Contro l’empatia, una difesa della razionalità” spiega quanto in realtà sarebbe preferibile fare a meno dell’empatia.

Empatia cognitiva ed emotiva

  • L’empatia cognitiva è quella che ci permette di comprendere lo stato d’animo di un’altra persona, senza però essere partecipi delle sensazioni che sta provando.
  • L’empatia emotiva invece ci fa provare a 360° le emozioni della persona con cui stiamo empatizzando.

Ne risulta dunque che l’empatia cognitiva è uno strumento utile ma moralmente neutro, mentre quella emotiva è negativa. Paul Bloom nel suo saggio si scaglia quindi solo contro l’empatia emotiva.

Empatia e pregiudizio

L’empatia distorce i nostri giudizi morali proprio nello stesso modo in cui lo fa il pregiudizio.

Può sembrare assurdo pensare all’empatia come una forma di pregiudizio, ma sono più simili di quanto potrebbe sembrarci.

L’empatia è limitata, agisce quindi da riflettore con un raggio ristretto, e riesce ad illuminare solo le persone che ci sembrano più vicine e simili a noi. Noi empatizziamo con singole persone specifiche, non con astrazioni statistiche. Ecco perchè se veniamo a conoscenza di Sara, una bambina di nove anni che soffre di una rara malattia, siamo portati ad empatizzare con lei e a donare dei soldi per la ricerca. Se invece sentissimo parlare di 10000 bambini malati non riusciremmo ad empatizzare con quello che per noi è solo un numero e ce ne dimenticheremmo qualche minuto dopo. Sara invece resterebbe impressa nelle nostre menti. Questo è il risultato di un bias cognitivo tipico di tutti gli uomini.

Gli effetti dell’empatia quindi non alimentano la giustizia, perchè si prova un interessamento particolare per il soggetto con cui si empatizza.

Empatia o razionalità?

Ecco perchè Bloom suggerisce di sostituire l’empatia con la razionalità.

Se io vedessi un bambino molto piccolo che sta per anneghare nell’acqua bassa, e per salvarlo dovessi semplicemente bagnarmi fino alla vita e prenderlo in braccio, certamente non ci penserei due volte e lo afferrerei. Io potrei empatizzare con il bambino, perchè riuscirei a provare la sensazione che il bambino sente nell’anneghare, o potrei empatizzare con i genitori, perchè sentirei il loro dolore di perdere il figlio. Ma in realtà è la razionalità da sola che mi fa comprendere che è giusto salvare il bambino.

Dare aiuto con l’empatia

È possibile aiutare davvero qualcuno per mezzo dell’empatia?

Chi sta attraversando un periodo difficile, una malattia, un problema, afferma di voler vedere nella persona con cui si rapporta l’opposto della sua paura, non l’eco. Per questo motivo è raro che i soggetti altamente empatici riescano ad aiutare un’altra persona nella risoluzione di un problema, perchè non guarderebbero la situazione dall’esterno e resterebbero quindi immobilizzati.

L’empatia può infatti anche essere egoista. “Se io sento il tuo dolore sto male” è una motivazione egoistica per fare del bene, perchè se il motivo per cui aiutiamo una persona è che il suo dolore fa star male anche noi, allora è molto più semplice e istintivo voltargli le spalle. Dal momento che se non vediamo il suo dolore non soffriamo, la scelta delle persone molto empatiche è quella di allontanare le persone in difficoltà.
Paul Bloom ci racconta infatti di una donna che viveva vicino ad un campo di concentramento e, afferrmando di empatizzare troppo con le vittime, chiese che la tortura fosse spostata altrove, in modo che lei non vedesse.

 

Se siete incuriositi da queste affermazioni non vi resta che leggere il saggio di Bloom.

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Veronica

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